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Ucraina, Julia e la sua seconda giovinezza

Due volte nella polvere, due volte sugli altari. È toccato, stavolta, ai destini incrociati di due fra i più noti e coloriti esponenti politici ucraini: Yanukovich e Timoshenko

Due volte nella polvere, due volte sugli altari. È toccato, stavolta, ai destini incrociati di due fra i più noti e coloriti esponenti politici ucraini: Viktor Yanukovich e Julija Timoshenko. Il primo è passato in poche ore dalla poltrona del potere al seggiolino dell'esilio, sgombrando il palazzo presidenziale di Kiev in una fuga verso la sua «patria politica» nell'Ucraina Orientale, quella «russa» di lingua, di costumi, di sentimenti. La seconda è «transitata», sempre in poche ore, dal carcere al Palazzo, passando per l'ospedale dove era stata trattata per un «colpo della strega». Questi due traslochi hanno sintetizzato la fase, che parrebbe finale (ma non è detto, visti gli usi politici del Paese) della terza o quarta «rivoluzione» ucraina dal giorno del dissolvimento dell'Unione Sovietica e dunque dal distacco dalla Russia. Una lunga transizione con tanti colpi di scena e con tanti, forse troppi, protagonisti, alcuni decisamente sul viale del tramonto, altri tutt'altro che tagliati fuori da un qualche ennesimo capovolgimento di fortuna.
A sorridere, per ora, è la complessa, misteriosa Julija, eroina, «congiurata» e martire secondo i momenti e secondo le opinioni dei suoi concittadini. Due volte è stata primo ministro, due anni ha passato in prigione, condannata per abuso di ufficio. E questo, fra l'altro, simbolo del perseguitato politico, oggetto, o pretesto, addirittura di crisi diplomatiche fra quelle che erano state le due superpotenze della Guerra Fredda. Ne hanno parlato, poche ore fa al telefono, Barack Obama e Vladimir Putin. La conversazione deve essere stata «calda» ma decisiva e a lieto fine. In un modo o nell'altro, vittoriosa o sconfitta, protagonista o vittima, la Timoshenko è sempre stata sul palcoscenico, anche nei due anni passati in cella. Oggi, a 53 anni, potrebbe godersi una seconda e più tranquilla giovinezza. A tirarla fuori di galera è stata una maggioranza schiacciante della Rada, il Parlamento di Kiev, lo stesso che quasi contemporaneamente ha deposto ministri, decapitato gli apparati di polizia e obbligato il premier uscente a uscire. Fuori continuava a tumultuare la piazza Maidam, che era stata per un paio di settimane una città a sé, che i manifestanti avevano trasformato in una fortezza ereggendo barricate che facevano anche da «terra di nessuno» fra loro e la polizia.
A condurre la «sedizione» (peraltro chiamata «liberazione» dai più) sono stati finora altri leader di uno schieramento di opposizione che ne è fin troppo ricco. Era successo così anche nei giorni della prima «rivoluzione ucraina», allorché da una elezione molto incerta era uscito vincitore Viktor Yushchenko, considerato l'uomo più vicino all'Occidente ma poi i conteggi si erano misteriosamente invertiti facendo passare in testa Yanukovich, il più fedele alla Russia. La «rivolta» passò anche allora e gli «occidentali» presero il potere. Si trattava però di scegliere un primo ministro e i consensi si fusero su un personaggio colorito, discusso e, soprattutto allora, giovane come Julija Timoshenko, un cognome risonante delle glorie militari del maresciallo Timoshenko durante la Grande Guerra Patriottica. Julija era ed è una donna moderna. I suoi si incentrarono sull'ingegneria cibernetica, la sua laurea era su un binomio fra ingegneria e scienze economiche, la sua tesi di laurea sul sistema fiscale, il suo primo posto di lavoro come ingegnere in una fabbrica che produceva missili, il suo primo business fu nel petrolio, come direttore generale. Di qui l'ingresso in politica, la leadership del Partito della Patria, l'appoggio iniziale al presidente di transizione Leonid Kuchma, la prima elezione al Parlamento, la prima poltrona di governo e l'ascesa a quella di vicepresidente del Consiglio e di primo ministro. Nel 2000 la prima caduta: Julija e il marito arrestati poi liberati per grazia presidenziale. Il secondo arresto nel 2001 con l'accusa di falsificazione di documenti ed esportazione illegale di gas, la nuova assoluzione, il ritorno al potere, un'altra ondata di accuse, forse un complotto per ucciderla. Nel 2004 Julija fu tra i firmatari di un proclama rivoluzionario, dopo le contestate elezioni dello stesso anno, la nomina a primo ministro, a coronamento della Rivoluzione dell'Arancio. Un ruolo in condizioni inquietanti, fra polemiche e scambi di accuse, il ritorno al potere dei «russi», fino alla crisi odierna, detonata dalla decisione del governo ora uscente di rinunciare a un trattato con l'Unione europea preferendo un sostanziale aiuto finanziario da parte di Mosca. Il resto è cronaca. L'altalena di Julija la riporta di nuovo in alto.

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