ROMA. Un cda più che un consiglio dei ministri. Così più di un ministro, al termine della prima riunione subito dopo il giuramento del governo, descrive lo spirito «operativo» con cui il premier Matteo Renzi si è presentato alla sua squadra: «Dobbiamo essere il governo dei fatti, su di noi ci sono aspettative molto alte e non possiamo sbagliare», sprona il leader Pd che punta tutto sui primi 100 giorni per dimostrare che ne è valsa la pena cambiare governo. E per arrivare con le carte in regola al suo primo test elettorale: le elezioni europee.
Battute ma molta determinazione a «fare i fatti prima di parlare» è il Renzi style descritto dai ministri. Ai neofiti, in particolare, è stato vivamente consigliato di evitare interviste almeno fino al voto di fiducia, lunedì al Senato e martedì alla Camera. E in generale di agire insieme come una squadra della quale Renzi è l'allenatore per coordinare iniziative e uscite pubbliche. Già nel consiglio dei ministri della prossima settimana, forse martedì dopo il via libera delle Camere, il premier vuole passare all'azione: nominare i sottosegretari, con un occhio a chi, come i Popolari per l'Italia, si ritiene oscurato nel governo, e passare subito alle prime misure concrete. «Lo so che è un lavoro tosto ma siamo l'ultima possibilità per l'Italia sopratutto dopo tante delusioni cocenti», sprona il premier amareggiato per la freddezza con cui il suo predecessore lo ha accolto per il passaggio di consegne.
Al sottosegretario Graziano Delrio spetta la faticosa sintesi delle varie priorità dei partiti. Ma il timing resta quello fissato dall'ex sindaco di Firenze: subito ddl per la riforma del Senato e poi, a marzo, misure per il lavoro: taglio del costo del lavoro, sblocco dei crediti per le imprese e una «robusta» semplificazione della burocrazia. «Siamo un treno in corsa», è la metafora usata da un ministro che apprezza lo stile concreto del neopremier. Ed il patron di Eataly Oscar Farinetti, che conosce bene il presidente del consiglio, spiega che lo stile di Renzi è «ribaltare i tavoli», unico modo per «mettere a posto questo paese».
Ma prima di tirare giù le carte, i fedelissimi del premier invitano alla prudenza scaramantica. Sui numeri a Palazzo Madama, spiegano, non ci sono problemi ma fino all'ultimo sono al lavoro gli ambasciatori per calmare i malpancisti, come i civatiani del Pd ed i Popolari per l'Italia, e magari strappare qualche voto in più. Il colpo ad effetto sarebbe riuscire ad ottenere la fiducia da qualche dissidente grillino. Perchè il leader Pd sa che il traguardo dei 100 giorni non sarà per lui solo simbolico ma coinciderà con le elezioni europee e con lo spettro di un voto dove, se il governo non darà i primi segnali di scossa, l'antipolitica e Beppe Grillo rischiano di farla da padroni.
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