ROMA. C'è un'amara coincidenza nell'ultima giornata da premier di Enrico Letta. Nello stesso identico istante in cui ieri pronunciava le parole «Sono un uomo del Pd» tentando il rilancio con 'Impegno Italià, a 24 ore di distanza il suo partito lo ringrazia e liquida il suo governo in favore del Renzi One. Sono le 18,07 quando, seduto sulla poltrona da premier nel suo studio a Palazzo Chigi, Letta in diretta streaming apprende gli esiti della direzione: 136 voti lo affossano e sono tanti, sono quasi tutti (16 i contrari, 2 gli astenuti).
Di minuti ne passano soltanto altri cinque e Letta annuncia che salirà al Quirinale per dimettersi. La richiesta di una parlamentarizzazione della crisi arriva forte dai due maggiori partiti dell'opposizione, Forza Italia e M5s, e certo sarà Giorgio Napolitano a decidere. «Ci si dimette nelle mani del Capo dello Stato, decide lui, e noi vogliamo la soluzione più corretta sul piano istituzionale», osservano rispettosi a Palazzo Chigi. Ma chi è vicino al premier spiega che «per Letta sono esaustive le due righe con le quali, dopo il voto della direzione che considera risolutivo, ha annunciato le dimissioni». «Il voto del Pd - si ragiona a Palazzo Chigi - è più che sufficiente per indicare che il partito che lo ha indicato come premier, e che è anche il partito di maggioranza relativa, ora non lo ritenga più adatto a governare. Letta ne prende atto e considera questa come una indicazione chiara». La risposta che voleva è arrivata e questo basta. Tutto il resto rimane una valutazione del Quirinale.
Letta se ne va non senza amarezza, ma sereno, con la coscienza a posto. Ed è proprio lui a volere, fino all'ultimo, che il suo partito esca allo scoperto, senza passi indietro nè di lato, senza nessun compromesso. È lui che vuole sia messa agli atti la responsabilità del Pd e del suo segretario Matteo Renzi per la sua caduta. Per tutto il giorno, in processione a Palazzo Chigi, lo implorano di dimettersi prima, di evitare una plateale rottura del partito. Ma lui tiene il punto.
Arrivano a Palazzo Chigi i capigruppo Zanda e Speranza ed il capo della segreteria renziana Guerini, re magi che portano in dono al premier l'ultima offerta (che poi il Pd smentirà con una secca nota): posti di tutto riguardo nel nuovo governo. Letta li liquida rapidamente ed è secco il suo rifiuto. Il premier sceglie perciò di non andare in direzione. "Carissimi - scrive in una lettera - penso che, in una giornata importante come questa, sia fondamentale che la discussione si sviluppi e le decisioni conseguenti siano assunte con la massima serenità e trasparenza". Io aspetto a Palazzo Chigi, prendetevi le vostre responsabilità, è il messaggio.
La direzione comincia, Renzi lo ringrazia per il notevole lavoro e assume 'Impegno Italià come contributo per il suo nuovo governo di legislatura. Ma proprio in quel momento le agenzie battono l'annullamento del viaggio a Londra del premier, Fassina inutilmente continua a chiedere che si eviti il voto, i lettiani lasciano il Nazareno per non assistere alla conta, Letta attende il responso e detta ai suoi fidati consiglieri la nota che annuncia le dimissioni. Poi un brindisi di saluto con parlamentari e collaboratori e via dal Palazzo, a casa in famiglia. Domani, per quanto lo riguarda, sarà l'ultimo giorno da premier: ancora una riunione sul caso marò, una convocazione del Cipe, l'ultimo consiglio dei ministri e, nella tardissima mattinata, le dimissioni al Quirinale. La cristalleria è andata in pezzi.
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