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Per i marò in India chiesta legge anti-pirateria senza pena di morte, Letta: "Inaccettabile"

NUOVA DELHI. La Corte Suprema indiana rinvia di un'altra settimana, al 18 febbraio, la decisione sui marò dopo che la procura generale ha presentato un'ipotesi di accusa nei confronti dei due fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone basata su una versione «light» della legge per la repressione della pirateria (Sua Act). Senza cioè la pena di morte ma con un'imputazione per «violenze» che prevede fino a dieci anni di carcere. Un'ipotesi cui però si oppone duramente l'Italia. «È inaccettabile l'imputazione proposta dalle autorità indiane. L'uso del concetto di terrorismo» è da «rifiutare in toto: l'Italia e l'Ue reagiranno», ha twittato il premier Enrico Letta appena appresa la notizia. «Anche una versione dimezzata del Sua Act non va assolutamente bene», sottolinea la difesa a Delhi mentre l'inviato del governo, Staffan De Mistura, ribadisce «con forza» la richiesta italiana: «in attesa di una soluzione sul processo i marò tornino in Italia». I giudici dell'alta Corte di New Delhi hanno così deciso di non ratificare la richiesta dell'accusa, fissando una nuova udienza per il 18 febbraio. Un punto probabilmente, è la prima lettura degli osservatori, a favore dell'Italia. Intervenendo per il governo, il procuratore G. E. Vahanvati ha presentato alla corte un documento di tre pagine in cui si sostiene che sulla base delle assicurazioni fornite dall'India all'Italia sul fatto che «il caso non rientra in quelli rarissimi che richiamano la pena capitale», si utilizzerebbe un articolo del Sua Act (la legge anti-pirateria) che punisce più genericamente le violenze e che comporta una pena fino a dieci anni di carcere. Contrastando con forza per la difesa questa soluzione l'avvocato della difesa italiana, Mukul Rohatgi, ha ribattuto che «è inaudito che si possa utilizzare una legge concepita per reprimere i pirati nei confronti di due militari italiani in servizio di sicurezza anti-pirateria su una petroliera italiana». Inoltre, ha ricordato, nella sua sentenza del gennaio scorso la stessa Corte Suprema non aveva contemplato il Sua Act fra gli strumenti utilizzabili per processare i marò«. Ed ha aggiunto - parlando con l'ANSA - che »anche una versione dimezzata della legge non va assolutamente bene«. A questo punto il giudice B. S. Chauhan ha preso atto che »le parti sono in disaccordo e che quindi spetta a questa Corte decidere«, non accettando così, come invece probabilmente si attendeva l'accusa, l'ipotesi offerta di uso del SUA Act ridotto. Prima della successiva udienza il 18 febbraio, la difesa presenterà una memoria alla Corte in contrapposizione alla soluzione fornita dall'accusa.

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