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Delitto Meredith, condanna per la Knox e Sollecito Parla il giudice Nencini: ho la coscienza tranquilla

FIRENZE. Aveva annunciato almeno sette ore di camera di consiglio. Ma alla fine sono state 12. Tanto che, durante il pomeriggio, ieri la segretaria si è dovuta affacciare più volte in aula per comunicare che la lettura della sentenza sarebbe slittata. Il giorno dopo le condanne ad Amanda Knox e a Raffale Sollecito, il presiedente della Corte d'assise d'appello di Firenze, Alessandro Nencini, spiega il perchè di tanta attesa per la decisione: «La mia logica è stata: prendiamoci il tempo che serve, dobbiamo uscire con la coscienza pulita. Così è stato». Intanto, nelle lunghe ore di "presidio" in aula, fra avvocati, giornalisti e pubblico partiva il gioco delle congetture: liti con i giudici popolari, liti sulle misure da disporre per i due imputati, reati da modificare, capi di imputazione da riscrivere. Nencini non ha gradito il chiacchiericcio di questi mesi attorno al processo, specie quello su giornali e tv.


«I processi si fanno nelle aule, non sui media», dice. Poi sottolinea un aspetto di cui va orgoglioso. Nonostante i tempi della giustizia siano notoriamente lunghi, stavolta «in quattro mesi abbiamo fatto un processo con rinnovazione del dibattimento».
Durante il processo Nencini ha dimostrato di essere un tipo spiccio. Più volte ha interrotto gli avvocati con brusca schiettezza. Oggi non racconta cosa sia successo ieri, però, «non ci sono da fare dietrologie - spiega - è stata una camera di consiglio normale, con una discussione normale. Il tempo è servito per l'esame degli atti: 12 ore non devono fare effetto».


In fondo, basta fare due calcoli: «Il processo è composto 64 faldoni e 36 perizie - ricorda Nencini - e c'erano da valutare le ordinanze cautelari. La durata della camera di consiglio è stata fisiologica. I giudici popolari devono dare il loro contributo. Se non vogliamo che siano solo fantocci, dobbiamo metterli in condizione di confrontarsi con gli atti processuali, per far sì che possano pervenire a una decisione ragionata. È stata una camera di consiglio vera».   


Quando si è diffusa la notizia che per notificargli il divieto di espatrio, la polizia ha dovuto raggiungere Raffaele in un albergo alle porte con l'Austria, qualcuno ha pensato che la Corte potesse rivedere la misura, magari disponendone una più "pesante". Per ora non c'è bisogno. Per ora. «L'ordinanza è stata eseguita. Basta - ha detto Nencini - Lui sta in Italia, la questione è chiusa qua. Non c'è motivo di immaginare altro».

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