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Legge elettorale, regge l'accordo Renzi-Berlusconi: ora la prova dell'aula

ROMA. Si chiami «Renzellum», come lo  battezza Casini, o «Caimanum», come protesta Vendola, la  sostanza non cambia. Il patto tra Matteo Renzi e Silvio  Berlusconi regge ed i due, con una trattativa fino all'ultimo,  correggono d'intesa la riforma elettorale, che da domani approda  in Aula. «Avanti così, ora mai più larghe intese e ricatti dei  piccoli», esulta il leader Pd che concede al Cavaliere il  «Salva-Lega» ma porta a casa la soglia al 37% per il premio e  una minima discesa al 4,5% dello sbarramento. Ma la riforma, per  diventare legge, dovrà passare le forche caudine del voto  segreto, chiesto da M5S, e la protesta dei partiti minori e  della minoranza Pd.     


Non si sono mai interrotti i contatti tra Renzi e Berlusconi  per chiudere l'accordo prima dell'arrivo in Aula. Superato il  niet di Fi, complice anche la moral suasion del Quirinale,  all'innalzamento della soglia per il premio di maggioranza,  l'ultimo scoglio, sul quale i due contraenti si sono confrontati  fino all'ultimo, è stato l'abbassamento della soglia per i  partiti in coalizione, richiesta sia da Ncd sia da Sel. Alla  fine la mediazione è stata scendere dal 5 al 4,5%, una  correzione che suona come un'offesa e fa infuriare Nichi  Vendola. Angelino Alfano strappa, invece, la possibilità di  qualche candidatura multipla ma rinvia all'Aula, come anche  Scelta Civica e Popolari per l'Italia, nuove correzioni sia  sulle soglie sia sulle preferenze.    Nelle ore decisive per la trattativa si affaccia, nella sede  del Pd, dove il segretario Pd è riunito con capigruppo e  fedelissimi, anche il ministro Dario Franceschini. E la  benedizione del governo - che ora in 45 giorni ha la delega di  ridisegnare i collegi elettorali - al passo avanti alle riforme  arriva, da Bruxelles, direttamente dal premier Enrico Letta: «Le  riforme sono fondamentali per la stabilità e per mandare avanti  il nostro paese. È una buona notizia per l'Italia se riusciamo  a farle».     


Chi, invece, deve decidere se riprendere la battaglia, dopo  aver ritirato in commissione gli emendamenti per l'aut aut di  Renzi, è la minoranza del Pd. «Restano i nodi delle liste  bloccate e delle soglie. È una legge troppo sbilanciata a  favore di Berlusconi e di Forza Italia», attacca il bersaniano  Alfredo D'Attorre, che chiede nuove correzioni ma esclude  «imboscate» nel segreto dell'urna in Aula. E mostra di non  temere tradimenti anche il sindaco di Firenze: «Sarebbe il colmo  che chi per 20 anni non è riuscito a fare la legge ora si  nasconde dietro il voto segreto».    


Timori o meno, per Renzi il dado è tratto e oggi si è  raggiunta la migliore riforma possibile che, a suo avviso, può  essere approvata «rapidissimamente». Soddisfatto anche Silvio  Berlusconi che, attraverso il suo neoconsigliere Giovanni Toti,  gli rende l'onore delle armi al rottamatore: «Ha dimostrato di  avere le palle, questa è una buona legge elettorale per tutta  Forza Italia». Il paradosso, però, è che, nonostante l'impegno  del Cav, Matteo Salvini giudica «ad occhio, una porcheria»  l'intesa raggiunta. E la battaglia si sposta ora in Aula,  probabilmente saltando anche il voto notturno degli emendamenti  in commissione, dove i M5S puntano a far emergere con il voto  segreto le divisioni interne ai partiti, a partire dalle  pregiudiziali di incostituzionalità, che saranno presentate  anche da Sel, Lega e altri partiti minori.

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