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Crisi, a rischio le raffinerie della Sicilia

Nei primi sei mesi del 2013 l’Isola ha visto ridurre del 5% l'importazione di greggio: in cassa sono mancati 1,7 miliardi

Dice un vecchio proverbio Swahili che quando gli elefanti fanno baruffa, a soffrirne di più è l'erba sotto le loro zampe. È quello che potrebbe succedere al «prato» siciliano sotto l'effetto dei colpi che si stanno scambiando i signori del petrolio nel mercato mondiale. Insomma anche quella che fino a poco tempo fa era considerata la casta dei lauti guadagni, oggi mostra il volto debole di un grande comparto produttivo travolto dalla crisi dei consumi. Sono le raffinerie, in particolare, a soffrire di più. E per dimostrare che non si tratta di una semplice difficoltà congiunturale, destinata magari a rientrare in poco tempo, basti il laconico commento del presidente del'Unione Petrolifera italiana; tutte le raffinerie italiane sono a rischio.  Del resto basta fare quattro conti. In Europa ed in particolare nell'area mediterranea, il crollo della domanda di prodotti petroliferi ha contribuito a creare, come denuncia l'ENI, un eccesso di capacità di circa 100 milioni di tonnellate annue, pari a 1,5 volte l'intero consumo annuo italiano. In Italia, come scrive il Sole 24 Ore, nel 2004 abbiamo consumato 39 milioni di tonnellate di carburanti, mentre la stima del 2013 si ferma a poco più di 30 milioni di tonnellate. E se soffre il mercato interno, non va meglio quello estero.   A questo proposito il dato riferito alla Sicilia (dove si «lavora» il 38% di tutto il greggio raffinato in Italia) è emblematico. Nei primi sei mesi del 2013 la Sicilia ha visto ridurre del 5% l'importazione di petrolio greggio e addirittura del 28% l'esportazione di prodotti derivati dalla raffinazione petrolifera; in Sicilia, quindi, in un solo semestre sono venuti a mancare al giro d'affari circa 1,7 miliardi di euro. Per i petrolieri la crisi mostra un volto angosciante; si chiama overcapacity. La capacità produttiva è cioè di gran lunga superiore alla domanda di prodotto finito. E quando un impianto complesso come una raffineria, con la montagna di costi fissi che caratterizza il suo funzionamento, va in sofferenza, allora sono buchi a nove zeri.  Ridursi quindi ad un livello di utilizzo degli impianti vicino al 70%, come accade per le raffinerie italiane, produce danni che vanno ben al di là di quelli che subirebbe una qualunque attività manifatturiera che vendesse meno di quanto produce.   È stato così che le raffinerie di Pantano-Roma (ERG) e di Cremona (Tamoil) sono state prima fermate e poi trasformate in semplici centri di deposito e movimentazione prodotti petroliferi; mentre quella di Falconara-Ancona (API) si è fermata nei primi sei mesi di quest'anno e quella di Gela-Caltanissetta (ENI) ha fermato gli impianti da maggio 2012 ad aprile 2013, rinunciando a produrre benzina e polietilene per mantenere la sola «linea» di produzione diesel.   È il caso ancora della raffineria IES di Mantova; questo impianto ha una capacità di lavorazione di 2,6 milioni di tonnellate all'anno di petrolio. Come annuncia ora il Sole 24 Ore la raffineria IES sta per diventare un deposito di carburanti, con la contestuale riduzione della mano d'opera da 390 ad appena 83 unità.   In Sicilia esistono tre grandi poli per la raffinazione del greggio e la produzione di benzine, gasolio, gpl ed altri derivati (Gela, Augusta-Priolo-Melilli e Milazzo). Si stima che nel 2013 la loro produzione si sia attestata a circa 11-12 milioni di tonnellate; tenuto conto che la domanda del mercato interno siciliano è di appena 3 milioni di tonnellate, viene da chiedersi se ci siano almeno le condizioni perchè gli impianti locali possano seguire la sorte di tante altre raffinerie e trasformarsi in depositi. In ogni caso, siamo in presenza di una crisi del comparto senza precedenti e non sembra che le prospettive a breve siano confortanti.   Nè si può trascurare che il tema dell'energia è di valenza strategica; non servono infatti analisi particolarmente raffinate per capire il carattere «energivoro» delle moderne società; senza energia non si va da nessuna parte. Servirebbe quindi che il Governo della Regione assicurasse una indicazione puntuale sulle prospettive di breve e medio periodo del comparto energetico, per affrontare i tanti dilemmi posti dal futuro delle raffinerie siciliane, come anche dal progressivo spostamento del baricentro produttivo verso il difficile obiettivo di fare coesistere la tutela ambiente con la domanda energetica.   Del resto la Sicilia rappresenta a tutti gli effetti la piattaforma energetica dell'Italia, nel senso che, «senza» l'apporto energetico che arriva dall'Isola, sarebbe l'intero Paese a subire gravissimi contraccolpi. Verrebbero a mancare, infatti, al bilancio energetico nazionale il 38% della benzina e del gasolio, il 40% del metano ed almeno 3-4 miliardi di chilowattora di elettricità, per tacere del gettito, finora incamerato dallo Stato, delle accise sui prodotti petroliferi.   Questo ruolo nevralgico fino ad oggi ha portato in dote alla Sicilia un pesante carico inquinante e ben pochi benefici. Forse bisognerebbe partire da qui.

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