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Le leggi dopo la morte?

Nove morti negli ultimi dieci giorni di tragiche festività sulle strade siciliane. Nella sola area urbana di Palermo, nel 2013 si sono contate 20 vittime. Oltre 40 se si allarga al biennio. Parecchi di più se si comprendono strade extraurbane (a cominciare dalla famigerata statale per Agrigento) e autostrade.
A voler fare un infelice - ma eloquente - raffronto, il tributo di sangue che i siciliani versano sull’asfalto è ben superiore a quello che pagano alla mafia. Giusto per dare la misura, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto urgente - parecchio urgente - sia affrontare con la necessaria attenzione un problema che purtroppo non conosce latitudini, censi e stagioni. Ecco perchè non si può non accogliere con il dovuto consenso l’avvio del dibattito parlamentare che potrebbe presto portare all’istituzione del reato di omicidio stradale. Purchè non si pensi che questo sia l’unico e il solo possibile antidoto contro l’imprudenza, l’incoscienza e l’incapacità al volante.
Ritirare la patente ai killer della strada significherebbe punire chi il reato l’ha già commesso e significherebbe dunque aver nel frattempo già contato un’altra vittima. La repressione - in questo come in altri ambiti - non può mai essere risolutiva, se non è accompagnata da una adeguata prevenzione. Che deve coinvolgere allo stesso livello chi guida e chi controlla. Lo diciamo in modo accorato ormai da parecchio tempo, ma non ci stanchiamo certo di ribadirlo. Una più capillare e articolata diffusione della vigilanza sulle strade urbane ed extraurbane innalza l’asticella del deterrente. Così come carreggiate più sicure, maggiore severità sui limiti di velocità, più cura alla manutenzione dell’asfalto e alla posa di dissuasori e barriere anti-infortuni aggiungerebbero ulteriori contributi all’abbattimento delle tragiche statistiche di morte.
Ma, d’altra parte, è fondamentale uno scatto culturale e di preparazione anche da parte di chi si mette al volante, che siano due o quattro ruote poco cambia. In tal senso fa una certa impressione quanto successo proprio ieri a Vercelli. Un uomo al volante di un Suv: forse una manovra errata, forse un malore, forse una distrazione. Non si sa. Di certo c’è il bilancio: un morto e cinque feriti. Dettaglio che inquieta: l’automobilista alla guida della grossa vettura aveva 85 anni. Non sarebbe il caso di prevedere un limite oltre cui non è più possibile mettersi alla guida di un’auto? Dagli anziani ai neopatentati: che reale preparazione viene loro assicurata al momento del rilascio dell’agognato cartoncino? Sanno di spinterogeni e cunette o dossi, ma hanno davvero ricevuto un efficace indottrinamento in termini di comportamenti al volante? Di false patenti sono piene le cronache giudiziarie, ma anche quelle rilasciate in perfetta regola sono effettivamente ed efficacemente «sudate» e meritate dai destinatari? Si tratta di una vera propria laurea di guida, ma hanno studiato tanto quanto un universitario? Una serie di interrogativi pleonastici, temiamo. La risposta ci appare scontata. E non confortante. Educare meglio e vigilare di più. Solo questo potrà rendere più efficace e logica la repressione. Altrimenti ci limiteremmo a punire. E a continuare a contare i morti.

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