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Il discorso di fine anno di Napolitano: "Decisivo il coraggio degli italiani, i sacrifici li facciano anche i politici"

ROMA.  «Ora serve il coraggio di  cambiare»: lo devono trovare i cittadini per ripartire nel  2014, lo devono dimostrare i politici facendo anche loro i  necessari «sacrifici» e lo devono per forza tirar fuori i  partiti cogliendo l'occasione di cambiare radicalmente l'Italia  attraverso le riforme costituzionali. Guarda in avanti il  presidente della Repubblica cercando di aprire l'anno che viene  alla fiducia, alla ripresa e al cambiamento. Facendo sapere che  lui si ritrova al Colle per questo unico motivo. E che resterà  al Quirinale solo finchè serve al Paese e alle istituzioni,  comunque «non a lungo».    


Giorgio Napolitano ha voluto chiudere questo  2013, «tra i più pesanti e inquieti sul piano politico che  l'Italia ha vissuto da quando è diventata Repubblica»,  dedicandosi ai cittadini con un innovativo 'botta e rispostà  televisivo leggendo e rispondendo ad alcune delle tante lettere  che gli vengono spedite. Un dialogo a distanza che il capo dello  Stato ha voluto iniziare proprio affrontando il cuore del  problema - o meglio il simbolo - del distacco della gente dalle  istituzioni romane: «i sacrifici fanno fatti insieme ed è  giusto che li facciano anche i politici», ha assicurato il  presidente replicando a un ex imprenditore marchigiano che si  lamentava del fatto che fossero solo i «semplici cittadini» a  tirare la cinghia.    


Ma ciò detto, Napolitano si è rivolto direttamente ai  cittadini nei quali nota, tra i troppi segnali di disagio, anche  una voglia nuova di ripresa e li stimola a reagire: «il  coraggio degli italiani è in questo momento l'ingrediente  decisivo per far scattare nel 2014 quella ripresa di cui  l'Italia ha così acuto bisogno. Coraggio di rialzarsi, di  risalire la china».     Non nasconde nella notte di san Silvestro lo stato reale del  Paese, le imprese in difficoltà, gli stipendi fermi e la piaga  della disoccupazione, soprattutto giovanile. C'è «malessere  diffuso e 'fatica socialè», premette Napolitano. Certo,  servono «risposte qui ed ora», ma adesso si deve lavorare «a  un disegno di sviluppo nazionale e di giustizia sociale da  proiettare in un orizzonte più lungo».   Ecco, il «futuro», il «coraggio», l'impegno di tutti per  non gettare al vento i «sacrifici» già fatti. Così il  presidente introduce la parte più politica, quella finale, del  suo messaggio agli italiani, l'ottavo della sua presidenza. 


«Sarebbe dissennato disperdere i benefici del difficile cammino  compiuto. I rischi già corsi si potrebbero riprodurre nel  prossimo futuro ed è interesse comune scongiurarli», ha  avvertito blindando il Governo e facendo capire che il ricorso  alle elezioni anticipate in questa fase sarebbe follia pura.  Serve «stabilità» di Governo, ha ripetuto tra le righe per  andare a cogliere i primi acerbi frutti della ripresa. È un  invito a 'pensare positivò, quello che viene dal Colle che per  questo ancora una volta chiede alle forze politiche di abbassare  i toni ed iniziare una politica del fare. Bisogna fermare subito  le «tendenze distruttive nel confronto politico», le  «espressioni violente», il «'tutti contro tuttì che lacera  il tessuto istituzionale e la coesione sociale», ha spiegato  Napolitano con voce rauca a causa di un raffreddamento. Sì,  perchè il 2013 è stato duro ma utile, ha aggiunto alludendo al  calo dello spread: nel 2013 abbiamo avuto «risultati come il  risparmio di oltre 5 miliardi sugli interessi da pagare sul  nostro debito pubblico».     


Ecco perchè l'annus horribilis si è manifestato soprattutto  sul piano politico. Infatti - e su questo il capo dello Stato  batte da anni - l'unica soluzione è il «coraggio» delle  riforme: la «nostra democrazia ha rischiato una  destabilizzazione e ora va rinnovata e rafforzata attraverso  riforme obbligate e urgenti».     Non poteva mancare infine una difesa personale ed un  contrattacco attraverso il quale Napolitano si è tolto qualche  sassolino dopo aver subito in silenzio diversi attacchi  personali: «sono attento a considerare ogni critica o riserva,  obiettiva e rispettosa, circa il mio operato», ha premesso. «Ma  non mi lascerò condizionare da campagne calunniose, da ingiurie  e minacce». Tantomeno, ha aggiunto rispondendo a quanti lo  chiamano 're Giorgiò accusandolo di aver travalicato i limiti  del suo mandato, è «ridicola» la «storia delle pretese di  strapotere personale».    


Giorgio Napolitano ha quindi ripetuto agli italiani quanto  gli addetti ai lavori ben sanno da tempo: lui resterà al  Quirinale fin quando servirà, cioè fino a quando le riforme  saranno fatte o almeno canalizzate in una strada senza ritorno.  E l'arma delle sue dimissioni in caso le forze politiche  continuino «a pestare inutilmente l'acqua nel mortaio» è  sempre carica. «Resterò presidente fino a quando la situazione  del Paese e delle istituzioni me lo farà ritenere necessario e  possibile, e fino a quando le forze me lo consentiranno. Fino ad  allora e non un giorno di più; e dunque di certo solo per un  tempo non lungo», ha spiegato. Ed ha aggiunto: «confido, così  facendo, nella comprensione e nel consenso di molti di voi». 

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