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In Sicilia boom dell’export ma le aziende restano sole

All’estero venduti prodotti agricoli per 240 milioni, alimentari e vini per 242, pc e farmaci per circa 450 milioni

In Sicilia il lavoro e lo sviluppo arrivano grazie... all'estero. Dopo cinque anni di crisi ininterrotta i consumi delle famiglie sono crollati; l'unica possibilità di vendere arrivava dai mercati esteri e, sorprendentemente, la Sicilia è riuscita a conquistarne una fetta, neanche troppo piccola. La tanto temuta globalizzazione sta cominciando quindi a contagiare anche il sistema produttivo regionale. E veniamo ai numeri di questo piccolo ma significativo "boom" del nostro export.
La quota commerciale siciliana «no oil», al netto cioè dei prodotti petroliferi è più di un terzo delle esportazioni totali, come segnala un recente report di Banca Nuova. In valore assoluto l'export siciliano di prodotti «no oil» ha raggiunto quest'anno il valore di 1.808 milioni di euro. È molto incoraggiante che in soli sei mesi la Sicilia sia riuscita a piazzare sull'estero prodotti agricoli per 240 milioni di euro, prodotti alimentari e vini per 242 milioni di euro, pc ed altre apparecchiature elettroniche per 292 milioni e prodotti farmaceutici per 161 milioni di euro.
Ma ancor più interessante è la dinamica sull'estero del sistema produttivo isolano. Una conferma arriva da un altro recente report, realizzato dal Gruppo Intesa Sanpaolo in collaborazione con la società SRM; il rapporto mette a confronto le venti regioni italiane dal 2006 ad oggi.
Ne viene fuori un quadro interessante e per molti versi originale, non privo di un vera sorpresa. L'Italia ha conseguito, nonostante la crisi, una crescita significativa nel grado di apertura internazionale. Nella stessa direzione si sono mosse anche alcune regioni meridionali mentre la Sicilia, in particolare, è risultata nei sette anni quella con la più accentuata dinamica di crescita: +25,1%; valore questo elevato in assoluto, ed ancor più rispetto alla media nazionale (+4,5%).
Il "super indice" costruito da Intesa Sanpaolo per misurare il grado di apertura ai mercati esteri, mette assieme una decina di indicatori che spaziano dalla propensione all'export all'andamento dell'import, dalle caratteristiche dei nuovi mercati alla presenza di stranieri che vivono, lavorano, studiano o arrivano come turisti, fino alle infrastrutture che supportano l'apertura commerciale; a dimostrazione che il successo nell'export è figlio di tanti "padri".
Tra gli indicatori disponibili può essere utile cogliere i dati relativi alle infrastrutture, anche perchè rappresentano la maggiore criticità per la Sicilia. Risulta infatti che negli ultimi dieci anni la nostra Isola ha segnato un vero e proprio regresso infrastrutturale; posto uguale a 100 il valore medio italiano, la Sicilia è passata nella dotazione della rete stradale da 87 a 84, nella rete ferroviaria da 65 a 59, nei porti da 174 a 104, mentre nella dotazione di aeroporti è scesa da 88 a 86. In sostanza mentre la Sicilia è rimasta ferma, gli altri sono andati velocemente avanti e, se nella dotazione portuale siamo ancora allineati al resto del Paese, nelle ferrovie invece arriviamo a stento a poco più della metà della dotazione nazionale.
Il brillante risultato delle imprese siciliane sui mercati esteri è il frutto di un impegno continuo nonostante, verrebbe da dire, la Regione Siciliana. Non è una critica pregiudiziale; ma la maggiore presenza della Sicilia sui mercati mondiali ha dovuto scontare tutte le note diseconomie del nostro territorio e per di più non ha beneficiato di sostegni di alcun genere da parte della mano pubblica. Che cosa si può ancora fare? Intanto va segnalato un fatto, almeno potenzialmente, di rilievo.
Nei giorni scorsi è stato attivato il primo tavolo di coordinamento per l'internazionalizzazione delle imprese siciliane, grazie a un accordo tra la Regione e l'importante network europeo EEN, rappresentato in Sicilia da Confindustria, Consorzio Arca, Consorzio Catania Ricerche e Mondimpresa. Con quest'accordo ci si propone di incrementare il valore complessivo dell'export siciliano, puntando sui distretti e le reti di imprese.
Tra l'altro sono giacenti fondi europei non spesi per circa 33 milioni di euro, parte dei quali, come si è impegnato a fare l'assessore al ramo Linda Vancheri, da destinare proprio a progetti di internazionalizzazione.
Ma si potrebbe puntare anche su altre iniziative. Lavorare con l'estero comporta procedure complesse e professionalità adeguate; la formazione regionale, ad esempio, potrebbe curare la specializzazione di tanti giovani, a cominciare dalle lingue straniere e dal diritto internazionale, con la collaborazione delle banche presenti in Sicilia e più attive sull'estero (Unicredit: iniziative di promozione del made in Sicily).
Sarebbe auspicabile poi la creazione di un fondo di garanzia ed assicurazione delle operazioni con l'estero presso l'Irfis. Risulterebbe strategico, e non solo per le relazioni commerciali con gli altri Paesi, l'avvio di massicci investimenti nelle infrastrutture portuali, aeroportuali, stradali e ferroviarie. Sarebbero utilissime forme di incentivazione per il turismo estero. Sarebbe importante intervenire nella dotazione infrastrutturale delle Università con campus e nuove tecnologie ed incentivare l'accesso di studenti provenienti da Paesi partner commerciali privilegiati della Sicilia, come Turchia, Libia, Egitto e Malta.
Insomma le imprese siciliane hanno fatto la loro corsa da sole, portando a casa tuttavia risultati brillanti ed impensabili fino a pochi anni fa. Come dice un vecchio adagio siciliano, c'è chi «tira» il carretto e chi «sta sopra» il carretto.
Se una volta tanto mamma Regione si mettesse a «tirare» anch'essa, sarebbe un bel risultato. [email protected]

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