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Voto palese, una scelta sbagliata

Contrariamente a quanto speravamo, la notte non ha portato consiglio. La giunta del Senato, con una tenacia più che sospetta, ha disposto che sulla decadenza di Berlusconi l’aula si esprimerà a voto palese. Un segno di debolezza grave e una scelta sbagliata. Un’autentica ferita alla democrazia perché in tutte le assemblee rappresentative del mondo - il mondo retto da leggi uguali per tutti - il voto che riguarda le persone è segreto.
Perché si deve scegliere qualcuno (Presidente della Repubblica, Presidenti di Camera e Senato, giudici costituzionali, solo per citare i casi più noti di casa nostra), oppure lo si deve escludere. Anche le autorizzazioni a procedere chieste dalla magistratura sono sempre state valutate dall’aula nel segreto dell’urna. Il motivo è evidente: non deve valere nessuna disciplina di partito, nessun ordine esterno. Chi vota sul destino di una persona deve essere libero da condizionamenti. Libero persino di dire in pubblico una cosa e fare l'opposto nel segreto dell'urna (come il singolo elettore quando va al seggio). Oltretutto il regolamento del Senato della Repubblica italiana è chiarissimo, e dice che tutti i voti sulle persone sono segreti. Non vale dunque la giustificazione del caso Berlusconi come una prima assoluta che poteva anche essere sottoposto ad un trattamento speciale. Non c’erano precedenti perché la legge Severino è nata ora: ma in tutti i casi analoghi il voto è stato coperto. Ogni membro dell’aula solo di fronte alla propria coscienza. Se la regola era questa perché cambiarla? Una prova di debolezza che trasforma in persecuzione quello che voleva essere un atto di giustizia. Se così stanno le cose e se la regola era chiara e sperimentata perchè ha prevalso in giunta una scelta chiaramente illegale? Per ragioni, purtroppo, che con la legge non hanno nulla da dividere. Hanno prevalso i timori di tradimenti nel segreto dell’urna come accaduto con il voto su Prodi al Quirinale, la preoccupazione che i parlamentari grillini facessero i furbi, che il Pd si spaccasse ( e magari anche il Pdl).
La morale della vicenda è amara: le leggi si applicano per i nemici e si interpretano per gli amici. Chi è in ascesa ottiene una lettura delle regole a proprio favore, magari con leggi ad personam come la Cirielli, e le altre inventate negli anni scorsi per favorire Berlusconi. Chi è in declino deve aspettarsi l'esatto rovescio, cioè trattamenti contra personam. Il Cavaliere lo ha constatato ora con il voto palese, che è palesemente anomalo (cioè esattamente contrario alla norma).
Guai ai potenti quando perdono il potere. È accaduto anche a Craxi: Tangentopoli è scoppiata non quando Grillo fece la battuta fulminante sui socialisti che rubano (era l'anno del viaggio in Cina, il 1986), ma nel 1992 quando Bettino era ormai lontano da Palazzo Chigi e le sue fortune elettorali stavano declinando. È la politica, fatta di scale: guai a chi comincia a scenderle.
Quelle di Berlusconi stanno correndo con una velocità senza precedenti verso il precipizio. Appena due anni fa era uno degli uomini più potenti del mondo. Ora è solo l’età a salvarlo dalla galera.Una caduta troppo veloce per non apparire come il risultato di un liquidatorio regolamento dei conti. Il Pd non ha concesso nulla in questi mesi nonostante la comune partecipazione alla maggioranza con il Pdl. Nemmeno la possibilità d’intervento della Corte Costituzionale. Eppure Luciano Violante, antico capitano della sinistra non certo sospettabile di compromissione, aveva espresso qualche dubbio. La Legge Severino è entrata in vigore l’anno scorso. I reati fiscali che hanno condannato Berlusconi sono più vecchi. Una tempistica che fa a pugni con tutti i principi del diritto secondo cui non è possibile retrodatare le colpe. È il cardine di ogni sistema giuridico. Eppure il Pd non ha permesso che su un passaggio tanto delicato, la Consulta si pronunciasse. In questa maniera si è esposto ai peggiori sospetti. Ha affidato ai giudici il compito di battere Berlusconi non essendo stato capace di farlo con il voto. Una scelta identitaria che, sicuramente, lascerà un segno negli elettori del Pdl. A qualcuno potrebbe anche venire in mente il ricordo di antiche purghe tipiche dei regimi totalitari. Lungo questa strada si alimenta solo la spirale delle rivendicazioni. Perché oggi sicuramente il governo è più debole. Il voto della giunta ha restituito forza ai falchi che invitano il Cavaliere a impugnare la spada. Ha reso meno credibili le colombe che vorrebbero il ramoscello d’ulivo. Ha vinto l’anti-berlusconismo radicale che rischia di santificare Silvio come martire della violenza contro la democrazia. Stanno trionfando le passioni più profonde e inconfessabili. A questo punto il Cavaliere potrebbe essere tentato di giocare la carta estrema accelerando la crisi e il ricorso alle urne. Andrebbe alla ricerca del giudizio di Dio, l’ordalia, come nelle religioni pagane. L’ultima legittimazione. Anche a costo di mandare il Paese allo sfascio. Ma che importa? Tanto, in questo momento, il destino dell’Italia sembra veramente l’ultimo dei pensieri sul ring dei partiti.
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