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A Scicli il fagiolo «cosaruciaru»: così riesce a sopravvivere

Di fagioli ce ne sono davvero di svariati tipi, ma come il cosaruciaru di Scicli è davvero difficile trovarne. Quando si dice che nella memoria degli anziani c'è il futuro, di sicuro non si sbaglia. È grazie a loro che un sapore antico, che trova le sue origini agli inizi del '900, è ancora sulle nostre tavole. La coltivazione viene effettuata per lo più da produttori ottantenni che hanno seguito «le orme dei genitori e dei nonni, preservando questo ecotipo da una sicura estinzione», spiega Bartolomeo Ferro, referente dei produttori del presidio Slow Food. «Inizialmente questo fagiolo veniva coltivato nelle cannavate, appezzamenti di terreni alluvionali, freschi e permeabili, non eccessivamente calcarei localizzati nella zona di Scicli». Ha un sapore molto delicato, da qui il nome «cosa dolce», e contiene un amido leggero dalle ottime caratteristiche organolettiche: viene utilizzato sia dai contadini che dai più grandi chef a testimonianza della sua pregevolezza. A doppio ciclo colturale, «i semi sono conservati e riprodotti dagli stessi contadini del presidio, che hanno appezzamenti di terreno di piccole dimensioni, a volte, ricavati. Sono gli stessi produttori che selezionano manualmente senza macchinari, antiparassitari o prodotti chimici, e lo coltivano secondo metodi tradizionali».


R. VEC.

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