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Libia, liberato il premier Zeida In un tweet: "Sto bene, volevano mie dimissioni"

TRIPOLI.  Dilaga il caos in Libia con il clamoroso sequestro lampo del premier Ali Zeidan da parte di una milizia armata, che poi ha liberato l'esponente politico. La situazione è allarmante al punto che la Nato si è detta pronta a intervenire per rafforzare la sicurezza: «Ma sta al Paese chiederlo». Le circostanze del rapimento di Zeidan - storico oppositore di Gheddafi designato alla guida del governo l'ottobre del 2012 - rimangono vaghe in una Libia dove imperversano omicidi politici, sequestri di persone, assalti a diplomatici e assedi ai ministeri. Alle prime luci dell'alba, oltre 100 uomini armati hanno fatto irruzione nell'albergo Corinthia di Tripoli, dove risiede Zeidan e che ospita anche molti stranieri e diplomatici, sequestrando il premier e alcune guardie del corpo. In un primo momento, il governo ha puntato l'indice contro due gruppi di ex ribelli, la «Camera dei rivoluzionari di Libia» e la «Brigata di lotta contro il crimine», che formalmente dipendono dal ministero della Difesa e dell'Interno. Con il passare delle ore però la vicenda ha assunto contorni più sfumati, con le milizie che hanno negato qualsiasi coinvolgimento. Poco prima gli ex ribelli avevano «rivendicato» il gesto, affermando di aver eseguito un mandato di arresto spiccato dalla Procura che accusava Zeidan di corruzione. Ma la Procura ha smentito di aver mai emesso un ordine del genere. Hashim Bashr, uno dei leader del Consiglio supremo di sicurezza di Tripoli (Scc), una tra le brigate più forti del Paese, ha gettato acqua sul fuoco, parlando di un «malinteso». «Quanto accaduto oggi è frutto di un gioco politico interno», ha detto invece Zeidan poche ore dopo il suo rilascio. Il governo «continuerà a lavorare per una Libia democratica», ha assicurato sottolineando che gli stranieri in Libia «non sono un obiettivo». I libici «devono mantenere la calma» ed evitare «una escalation di violenza». Le cancellerie si sono affrettate a ribadire il sostegno al governo provvisorio: da Palazzo Chigi è partita una ferma richiesta per il «pronto ristabilimento della legalità», David Cameron, in una telefonata con Zeidan, ha ribadito il pieno appoggio del Regno Unito per la costruzione di un Paese «stabile, libero, pacifico e prospero», mentre il presidente francese Francois Hollande ha chiesto alla comunità internazionale di agire per aiutare Tripoli a ripristinare la sicurezza. Gli 007 italiani lanciano l'allarme, «la stabilizzazione appare sempre più problematica», con gravi effetti diretti anche sul tema immigrazione: sarà «difficile in questo contesto bloccare le partenze di carrette del mare dirette verso l'Italia come quella naufragata venerdì scorso a Lampedusa».  In questo quadro, l'ambasciata d'Italia ha invitato i connazionali ad esercitare la massima cautela, mentre quella di Francia addirittura a «cogliere l'occasione» della prossima festa dell'Aid al Adha - che inizia la prossima settimana - per passare le ferie all'estero, insomma un appello soft a lasciare il Paese. Il sequestro-lampo di Zeidan è solo l'ultima e più clamorosa tegola sul processo democratico libico che stenta a decollare, dopo l'assalto alla sede diplomatica Usa di Bengasi lo scorso anno in cui rimase ucciso l'ambasciatore Usa Chris Stevens, o la battaglia di Bani Walid, quando le milizie del governo hanno assaltato al costo di centinaia di vittime l'ultima enclave dei nostalgici di Gheddafi. In questi giorni Zeidan è al centro della bufera dopo il raid delle forze speciali americane che sabato scorso ha portato alla cattura di uno dei più importanti leader di al Qaida, Abu Anas al-Libi, considerato la mente delle stragi di Nairobi e Dar es Salam del 1998 - oltre 200 i morti -. Alcuni gruppi estremisti lo accusano di aver autorizzato segretamente il blitz, una 'accusà rilanciata anche da militari statunitensi dalle pagine del New York Times. I gruppi radicali islamici hanno invitato i propri sostenitori a colpire obiettivi americani e dei Paesi alleati, tanto che il Pentagono ha spostato altri duecento marines nella base di Sigonella, in Sicilia, pronti a operazioni di evacuazione e salvataggio ostaggi.  Il futuro della Libia resta più che mai incerto e la profezia di Gheddafi, «dopo di me ci sarà una Somalia del Mediterraneo», sembra sinistramente avverarsi.

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