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Deaglio: l’Italia non attrae investitori per l’instabilità politica

L’Italia è ancora in recessione anche se qualche segnale di ottimismo si comincia a vedere. Per esempio l'indice di fiducia delle imprese e quello dei consumatori tende a crescere. Anche le stime per il 2014 sono orientate ad un cauto ottimismo visto che, per la prima volta da tre anni, presentano un segno positivo. Tuttavia il Pil è ancora negativo, la disoccupazione viaggia ai massimi dell'ultimo mezzo secolo e lo spread ricomincia a crescere. Nel frattempo l'instabilità politica rimette in movimento lo spread. Che cosa sta succedendo? Ne parliamo con Mario Deaglio, professore di Economia all'Università di Torino.

PROFESSORE COME MAI SIAMO ANCORA L'UNICO PAESE DEL G8 IN RECESSIONE?
«Intanto l'instabilità politica. I mercati finanziari continuano a guardare l'Italia con Paese molto sospetto. I dodici mesi del governo Monti avevano lasciato immaginare una svolta. Invece siamo tornati indietro. Certo nessun investitore può essere interessato all'Italia dopo quello che è successo».

VALE A DIRE?
«Il presidente del Consiglio Letta era a Wall Street per esporre la ritrovata stabilità politica dell'Italia mentre a Roma i gruppi parlamentari del Pdl annunciavano le dimissioni. Immagina che disastro per l'immagine del Paese e che imbarazzo per Letta?».

RESTEREBBE IL BUCO NEI CONTI DELLO STATO PER IL MANCATO GETTITO IMU: CHE FARE?
«Bisogna fare due cose: innanzitutto tagliare le spese e rendere più efficiente la macchina dello Stato e bisogna rassicurare i mercati. Tenga conto che noi paghiamo circa 80 miliardi l'anno di interessi sul debito. Se avessimo comportamenti virtuosi potremmo risparmiarne diverse decine. È l'onere che scontiamo a causa della scarsa fiducia degli investitori verso l'Italia. È un equilibrio molto precario e temo che in pochi abbiano il senso della drammaticità della situazione».

SI SPIEGHI MEGLIO.
«Per semplificare: l'Italia deve restituire ogni anno circa 300 miliardi di euro di debito, ovvero circa uno al giorno. E, ogni giorno, per restituire un miliardo di debito, va sui mercati, e ne chiede un altro. Con la crisi politica tutto si deteriorerà di nuovo. E stavolta saranno guai seri».

CHE COSA NE PENSA DELL'OTTIMISMO DELLA BCE SULLA SECONDA METÀ DELL'ANNO?
«Possiamo anche immaginare un miglioramento ma non così grande da portarci fuori dalle difficoltà. E' lo scenario delineato da tutti i maggiori centri italiani e Stranieri. Semplicemente differiscono l'uno dall'altro su quando comincerà questa piccola ripresa. Confindustria è più ottimista di altri, e se l'organizzazione degli industriali di per sé ha dei toni molto allarmati, i dati del suo centro studi danno dei pre-indicatori leggermente positivi. Gli ordini hanno svoltato, l'esportazione tiene e su questi elementi si potrebbe costruire una piccola ripresa».

L'AUMENTO DELLA DOMANDA ESTERA PUÒ ESSERE SUFFICIENTE A DETERMINARE QUESTA PUR LIMITATA RIPRESA?
«Dipende da quanto accadrà alla domanda interna. Poniamo che dalla domanda estera provenga uno stimolo pari al +1% annuo, cui corrisponde un -1,5% della domanda interna: in questo caso l'export non sarebbe sufficiente a trainare la ripresa. Se al contrario la domanda interna rimanesse stabile, a quel punto le esportazioni potrebbero fare la differenza. La scommessa degli ottimisti è però che la domanda interna non possa cadere più di tanto».

PER QUALE MOTIVO?
«La domanda interna significa soprattutto il rinvio di acquisti. Prima o poi questi rinvii però cessano, soprattutto per quanto riguarda i beni di consumo durevoli. Se fare aggiustare la lavatrice costa 100 euro, dopo due volte che si rompe inizia a diventare conveniente comprarne una nuova».

DRAGHI CONTINUA A DIRE CHE «GLI AGGIUSTAMENTI DI BILANCIO NECESSARI NEI SETTORI PUBBLICO E PRIVATO SEGUITERANNO A GRAVARE SULL'ATTIVITÀ ECONOMICA». SIGNIFICA CHE COMUNQUE VADA NON SI CAMBIERÀ ROTTA?
«Su questo le banche centrali tendono ad avere un atteggiamento ambivalente. Da un lato invitano a fare le riforme e a incoraggiare la crescita, dall'altra chiedono il pagamento dei debiti. Occorre quindi mettersi d'accordo: se dobbiamo pagare i debiti non ci saranno più risorse per la crescita. Le riforme così come sono presentate sono molto spesso vaghe e richiedono comunque dei tempi lunghi per andare a regime».

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