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Mafia, blitz in Lombardia: arrestati genero e figlia di Vittorio Mangano

MILANO. Ci sono due punti fermi nell' indagine della Dda di Milano e della Polizia di Stato che ha portato, oggi, in Lombardia, all'arresto di otto persone ritenute organiche a Cosa Nostra, tra cui una delle figlie di Vittorio Mangano e un suo genero: un quadro preoccupante di inalterate infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale, tanto da far parlare la magistratura di «mafia imprenditoriale». E una continuità nelle famiglie mafiose, dove i figli hanno preso in mano gli affari dei padri, trasformandosi da picciotti a manager.
La rete di cooperative di servizi al centro del malaffare e del riciclaggio scoperto dalla Squadra mobile (gestivano facchini, autisti, centralinisti, portieri) operava floridamente da anni (l'indagine inizia nel 2007). Anzi, si permetteva anche di violare sistematicamente leggi e norme, usando ad esempio decine e decine di clandestini come mano d'opera, emettendo false fatturazioni per milioni di euro (650 mila quelle accertate, definite «la punta di un iceberg») o usando in modo spregiudicato soldi contanti, in barba alle tante regole societarie e valutarie, soprattutto per aiutare i famigliari degli arrestati e organizzare la latitanza di altri.
A capo dell'organizzazione c'erano Cinzia Mangano, 44 anni («quella che gestiva i soldi, un enorme flusso di denaro»), figlia di Vittorio Mangano, lo 'stallierè di Arcore (Milano), deceduto nel luglio del 2000 dopo molte condanne e una vicenda giudiziaria che ha lambito i più alti vertici politici; Enrico Di Grusa, di 47, genero di Mangano in quanto marito della figlia Loredana; e Giuseppe Porto, imprenditore di 59 anni, attivo nel settore delle cooperative di servizi. Insieme a Walter Tola (e non Pola come riferito in precedenza, ndR), di 51 anni, Vincenzo Tumminello, di 56, Orlando Basile, di 43, Antonio Fabiano, di 58 e Alberto Chillà, di 53, sono accusati oltre che di associazione per delinquere di stampo mafioso, anche di estorsione (verso un paio di imprenditori), favoreggiamento personale e della permanenza di clandestini sul territorio. Oltre a questi nell'indagine figurano «alcuni indagati» cioè dei professionisti che collaboravano alla gestione della rete di cooperative e all'emissione delle false fatture (commercialisti, bancari, prestanome).
Su queste persone sono ancora in corso accertamenti da parte non solo della polizia di Stato ma anche da parte della Guardia di finanza, che ha collaborato alle indagini. Era anche grazie al loro contributo attivo, come nel caso dei falsi titolari delle società (che venivano spesso chiuse e riaperte per confondere le acque) o passivo (i bancari che non hanno segnalato i numerosissimi e ingenti prelevamenti in contanti) che il sistema si reggeva, e bene. Tanto che un distributore di benzina, a Milano, in zona Corvetto, era diventato una base di Cosa Nostra, con ripetuti summit tra "palermitani di Milano" e siciliani dei clan d'origine. Nel corso dell'operazione, denominata "Esperanza", che ha visto perquisizioni nel Milanese (a Peschiera Borromeo, Bresso, Corsico, San Donato Milanese, Brugherio, Trezzano sul Naviglio), in provincia di Varese, a Monza, a Lodi e a Cremona, la sezione misure patrimoniali del Tribunale di Milano ha sequestrato beni e soldi per circa 3 milioni di euro.

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