PALERMO. «Il caso dell'Azienda Suvignano confiscata al costruttore Piazza di Palermo, che l'Agenzia dei beni confiscati ha messo in vendita, è la prova di quanto sia errata la norma introdotta dal cosiddetto "Codice Antimafia" del 2012 che la rende possibile». È quanto sostiene il centro studi Pio La Torre di Palermo in una nota. «Non a caso nel 2012 - ricorda il presidente del centro, Vito Lo Monaco - su proposta del Centro Studi Pio La Torre, si creò un vasto fronte antimafia sociale e istituzionale, al quale parteciparono oltre Libera e l'Arci anche l'Anm, il sindacato, la Legacoop, le associazioni di impresa, esperti e studiosi di tutta Italia, che propose di impedire la cancellazione, dalla memoria legislativa del paese, della Rognoni-La Torre e di non tradirla in uno dei suoi aspetti peculiari quale quello della confisca dei beni mafiosi. Questa è finalizzata al riuso sociale dei beni per restituirli alla società alla quale sono stati sottratti. Nel momento in cui, al contrario, l'Agenzia dei beni confiscati è autorizzata a far cassa vendendoli, sceglierà questa via più facile rispetto a quella del riuso sociale». «Essendo nota la compenetrazione tra mafia, finanza e politica - prosegue Lo Monaco - ci permettiamo di sollevare il nostro disappunto e contrarietà alla vendita di beni di così rilevante significato economico e simbolico». Il Centro Studi Pio La Torre esprime la propria solidarietà e la partecipazione alla battaglia degli amministratori che si oppongono alla vendita della tenuta di Suvignano e chiede che venga sospesa l'asta di vendita e riesaminata la proposta degli enti territoriali toscani.
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