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Ucciso per errore nella sala da barba: Gela, non è riconosciuto vittima di mafia

La Cassazione ha confermato che Sultano non era un affiliato ai clan, ma lo Stato non concede lo status

GELA. Il suo corpo, nel luglio di quattordici anni fa, venne crivellato dai proiettili di una calibro nove e di una calibro trentotto all’interno di una sala da barba del quartiere di San Giacomo. Stando ai giudici della corte di Cassazione, però, l’allora ventitreenne Salvatore Sultano si sarebbe trovato solo casualmente in quell’esercizio commerciale e in compagnia del vero obiettivo, il ventinovenne Emanuele Trubia. Non è stata sufficiente, però, la pronuncia dei magistrati per riconoscere il giovane Sultano come vittima di mafia. Così, mentre sono ancora in corso i processi legati ad alcuni dei filoni scaturiti dalla maxi inchiesta partita proprio dal duplice omicidio del 21 luglio del 1999 i familiari dell’imprenditore edile, assistiti dall’avvocato Giuseppe Cascino, hanno chiesto direttamente alla prefettura di Caltanissetta e al ministero dell’Interno di avviare le necessarie pratiche per il riconoscimento dello status di vittima della criminalità organizzata. Nelle ore successive al duplice, cruento, omicidio, si era ipotizzata un’eventuale vicinanza di Salvatore Sultano allo stesso Emanuele Trubia, ritenuto all’epoca uno dei vertici dell’omonima famiglia legata al gruppo dei Rinzivillo-Madonia. Le successive indagini, però, confermate dall’esito processuale, hanno escluso qualsiasi appartenenza dell’ignara vittima alle cosche locali. Salvatore Sultano cadde sotto i colpi esplosi dai killer entrati in azione in quel pomeriggio di luglio solo perché, negli stessi minuti, si trovava all’interno della sala da barba trasformatasi in una sorta di mattatoio. Immagini riprese anche nel lavoro giornalistico realizzato dal direttore dell’emittente Canale 10 Giuseppe D’Onchia. “In effetti – spiega proprio l’avvocato Giuseppe Cascino – abbiamo chiesto che i funzionari ministeriali possano avviare l’iter per il riconoscimento di vittima di mafia anche se le sentenze fino ad oggi emesse sono già fin troppo chiare. A questo punto, non sono da escludere altri approfondimenti da parte delle forze di polizia e della stessa prefettura di Caltanissetta”. Intanto, la famiglia Sultano ha scelto di rivolgersi ai giudici anche in sede civile allo scopo di tutelare la memoria del figlio. Un primo verdetto favorevole, sotto questo profilo, è stato recentemente emesso.

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