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Berlusconi: «Se mi condannano non scappo, vado in cella»

ROMA. «Non farò l'esule, come fu costretto a fare Bettino Craxi. Nè accetterò di essere affidato ai servizi sociali, come un criminale che deve essere rieducato. Ho quasi 78 anni e avrei diritto ai domiciliari, ma se mi condannano, se si assumono questa responsabilità, andrò in carcere». L'ex premier Silvio Berlusconi, in un colloquio con Libero, parla della sentenza della Corte suprema attesa per martedì prossimo e si dice «abbastanza ottimista: non possono condannarmi».    «Se non c'è pregiudizio, se non ci sono pressioni, la Cassazione non può che riconoscere la mia innocenza», dichiara Berlusconi. «I miei avvocati hanno proposto 50 obiezioni alla decisione della Corte d'appello e la Cassazione già in altre occasioni ha riconosciuto che io non firmavo i bilanci, non partecipavo alle decisioni dell'azienda e non avevo alcun ruolo diretto nella gestione di Mediaset», spiega. «Facevo il presidente del Consiglio, cosa ne potevo sapere io dei contratti per i diritti televisivi? Non me ne occupavo quando stavo a Cologno, figurarsi se lo potevo fare nei primi anni Duemila quando ero a Palazzo Chigi».    Inoltre, prosegue il Cavaliere, «non avrei rischiato tutto questo per 3 milioni dopo averne corrisposti più di 500 in un solo esercizio. E poi, se fossi stato così fesso da evadere le imposte, a un certo punto avrei usato il condono tombale che il mio stesso governo aveva introdotto».    «Non ho dormito per un mese. La notte mi svegliavo e guardavo il soffitto, ripensando a quello che mi hanno fatto», racconta Berlusconi. «In pochi mesi otto pronunciamenti contro di me. I diritti Mediaset, Ruby, la telefonata Fassino-Consorte, gli alimenti alla mia ex moglie, le richieste dei pm di Napoli e Bari, la decisione della Consulta sul legittimo impedimento, il respingimento della richiesta di trasferire a Brescia il processo per le cene di Arcore, l'abnorme risarcimento a De Benedetti».    Nel colloquio l'ex premier parla anche del futuro del governo. «Non farò cadere Letta - assicura - ma sarà il suo partito a farlo. Se venissi condannato, il Pd non accetterebbe di continuare a governare insieme con un partito il cui leader è agli arresti e interdetto dai pubblici uffici».

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