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Gela, la storia di un "ex picciotto": ho chiesto perdono a Dio, sono cambiato

GELA. Vent’anni non bastano a cancellare le stragi di mafia ma di certo sono riusciti a cambiare la mentalità della popolazione. Nel salotto naturale di vico Tilaro, a pochi metri da piazza Salandra, dove negli anni della faida gelese perse la vita la casalinga Grazia Scimè, e quasi adiacente all’ormai ex sala gioco dove vennero ammazzati a pistolettate tre persone, si è tenuto un incontro dibattito dal titolo: I “carusi” volevano prendersi la città: dalle calibro 9 al pentimento. Dalla Gela degli anni novanta al cambiamento.


Tra i relatori il cronista e redattore del Giornale di Sicilia, Giuseppe Martorana. “Ricordo bene quegli anni – ammette il giornalista, cercando con lo sguardo di individuare il locale che ospitava la sala giochi – All’epoca dei fatti era un inviato per raccontare quella strage. La gente allora era schiva. Era difficile anche avere un’informazione su una via e gli stessi locali chiudevano prestissimo la sera. Ricordo che era difficile cenare dopo le 22 nello stesso ristorante dell’albergo dove alloggiavo. Oggi, invece, le saracinesche sono alzate e il centro storico pullula di gente a qualsiasi ora, compreso la notte”. Tra i relatori del terzo dei quattro eventi “I venerdì di cronaca” erano presenti don Luigi Petralia, prete dell’antimafia nella comunità del rione Santa Lucia, e Rocco Bassora, al tempo dei fatti appartenente alla malavita organizzata.
“Da un punto di vista della giustizia ho pagato con la detenzione – dice Bassora – ma adesso voglio dimostrare che sono una persona diversa. Ho chiesto perdono anche a Dio e dico ai giovani di non commettere i miei stessi errori. Quella strada non porta a nulla di costruttivo. Io ero uno spacciatore – precisa – che sfidava anche le forze dell’ordine. La mia zone andava dalla villa a molino a vento ma ho spacciato anche davanti l’ingresso della caserma dei carabinieri. Oggi chiedo scusa e capisco che facevo parte del male”. Sugli ex detenuti è intervenuto don Petralia, e sottolineando la loro difficoltà di reinserimento nella società propone l’introduzione di un modello di valutazione nei sei mesi successivi la detenzione. Tra gli intervenuti anche Rosè Militello, scrittrice “Jack e il codice d’onore”.

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