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Polito: il voto allunga la vita della grande coalizione di Letta

Stravince del centrosinistra nei ballottaggi, vittoria o vantaggio al primo turno in Sicilia, debacle del Cinquestelle, sconfitta bruciante per il Pdl, da Nord a Sud. Difficile non leggere nei risultati delle amministrative uno spostamento del consenso rispetto al voto politico. Cosa è accaduto nel bacino elettorale dal febbraio ad oggi? Il vento è davvero girato? Per Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, «a cambiare, innanzitutto, è stata la platea degli elettori, che nel territorio hanno dimostrato, ancora una volta, come il Pd sia maggiormente radicato rispetto a tutti gli altri partiti. Un dato sul quale i Democratici, spesso ossessionati dall'idea di perdere la propria base per alcune scelte coraggiose a livello nazionale, dovrebbero attentamente riflettere. Probabilmente i loro elettori sono meglio orientati di quanto i dirigenti pensino. Tant'è vero che il governo di larghe intese non ha prodotto quell'insofferenza, quella rottura temuta dai vertici del partito o auspicata dai grillini o da chi tifa per la morte del Partito democratico».

COS'ALTRO PUÒ AVER AVVANTAGGIATO IL PD?
«Oltre alla platea elettorale è cambiata anche la ragione per cui ci si è recati alle urne: una cosa è votare per il governo nazionale, che ha il potere di mettere le tasse, materia sulla quale il centrosinistra è sempre guardato con sospetto da molti italiani per una presunta propensione ad aumentare la pressione fiscale; altra cosa è votare per i comuni che gestiscono la spesa pubblica, materia sulla quale si ritiene invece che la sinistra, storicamente, sia di manica larga. Il centrosinistra, inoltre, nelle amministrative può contare su una classe dirigente ben radicata sul territorio, forte di una storia antica, perché proveniente da grandi partiti quali il Pci o la Dc, o comunque già collaudata con successo, basti pensare ai casi di Orlando a Palermo e Bianco a Catania».

IL SUCCESSO DEI DEMOCRATICI E LA SCONFITTA DEL PDL CAUSERANNO CONTRACCOLPI NEL GOVERNO, OPPURE, COME SOSTIENE LETTA, CI SARÀ MAGGIORE STABILITÀ?
«Ha ragione il premier. L'attuale strana maggioranza è il frutto di due debolezze: quella del Pd, che ha non vinto le elezioni che doveva vincere, e quella del Pdl, che ha non perso quando doveva perdere. Entrambi i partiti, sotto la pressione dallo tsunami grillino, non hanno potuto far altro che allearsi. Adesso, più restano deboli, più si allunga la vita del governo. Paradossalmente, se il voto amministrativo avesse rafforzato nettamente uno dei due alleati-avversari, avrebbe potuto terremotare l'Esecutivo. Una forte affermazione del Pdl avrebbe spinto alcuni dei suoi esponenti a proporre di capitalizzare il risultato e tornare al più presto alle urne. Dopo la batosta, invece, non possono non predicare cautela. Dall'altra parte anche il Pd, che non può cantar vittoria - sia perché ha lasciato voti per strada, sia perché l'astensionismo ha dato una grossa mano ai sindaci eletti -, deve procedere in punta di piedi e aspettare quantomeno il Congresso. Il voto amministrativo congela il quadro politico e allunga la vita della grande coalizione».

SECONDO MOLTI OSSERVATORI IL PDL È USCITO SCONFITTO PERCHÉ IL CAVALIERE NON SI È BATTUTO IN CAMPAGNA ELETTORALE. NON È UNA TESI SEMPLICISTICA?
«Berlusconi avrebbe potuto fare qualche comizio in più, ma non avrebbe modificato radicalmente i risultati. A Brescia per esempio è intervenuto, e il centrodestra ha perso. La forza elettorale del Cavaliere si basa sulla drammatizzazione dei suoi messaggi: alle politiche va forte perché riesce a mobilitare la paura e l'opposizione di tutti quelli che temono la sinistra al potere. Quando la partita ha un peso meno drammatico, come nel caso delle amministrative, il linguaggio e lo stile berlusconiano perdono senso, non hanno più effetto».

FORSE IL MAGGIORE PROBLEMA DEL PARTITO È STATA LA MANCANZA DI UN ALLEATO FORTE. MOLTI VEDONO FINITA L'AVVENTURA POLITICA DELLA LEGA…
«Al Nord stiamo assistendo alla dissoluzione di un principio ritenuto finora immutabile nella politica italiana: che quel blocco sociale e produttivo del Settentrione, costituito da piccoli imprenditori e partite Iva, fosse quasi antropologicamente legato al centrodestra, al Carroccio in particolare, che si presentava come forza del Nord. La rottura (forse irreversibile) di questo blocco sociale nordista, dal Piemonte al Veneto, e la conseguente avanzata del centrosinistra, hanno modificato radicalmente lo scenario politico del Paese. Il fallimento della Lega, e ancor di più dell'idea leghista, ha indebolito tutto il centrodestra».

ANCHE IL CINQUESTELLE CONTINUA A PERDERE COLPI, PURE IN SICILIA. PERCHÉ I GRILLINI HANNO FALLITO L'AUSPICATO SUCCESSO NELLA REGIONE DEL LORO "BOOM"? I LORO VOTI SONO STATI ASSORBITI DALL'ASTENSIONISMO?
«Prima bisognerebbe rispondere a un'altra domanda: a che serve questo Movimento? In politica gli elettori possono votare per simpatia o per protesta, una, al massimo due volte. Alla terza però chiedono concretezza, risultati. Cosa hanno fatto i grillini? A cosa servono? In Parlamento passano le giornate a discutere di diaria e scontrini, nulla più, soprattutto dopo che Letta gli ha intelligentemente "rubato" il tema del finanziamento pubblico ai partiti. Il Cinquestelle somiglia ai tanti movimenti di protesta europei, che dopo un boom iniziale si sono rapidamente sgonfiati. Anche la Lega è nata come forza di protesta, ma ha retto più a lungo, perché insediata in un territorio, perché disciplinata da un capo (Bossi), e perché radicata su una ideologia, quella nordista. I Cinquestelle non hanno ideologia, se hanno un capo questi vive principalmente nel blog, e nel territorio non hanno rappresentati brillanti, anche perché se qualcuno brilla di luce propria finisce per essere allontanato. Quanto all'astensionismo, non farei simmetrie con il flop dei grillini, in Sicilia come nel resto d'Italia. Il M5S ha avuto grandi successi anche con bassissime affluenze. È accaduto alle politiche, dove il tasso d'astensione è stato forte, idem nelle regionali siciliane».

A PROPOSITO DI ASTENSIONISMO. PER MOLTI QUELLO ITALIANO STA DIVENTANDO UN CASO PATOLOGICO, CHE INDICA UNA SOFFERENZA DEL SISTEMA DEMOCRATICO…
«Non credo che la qualità di una democrazia dipenda dalla quantità dei partecipanti al voto. Nel sistema Usa, per eleggere il Presidente, vota un numero di persone molto basso rispetto ai potenziali elettori, ma nessuno si sognerebbe di criticare la qualità della democrazia americana. L'astensionismo, semmai, indica oggi un'altra sofferenza: siamo entrati nell'era "zero deficit", in cui la possibilità della politica di spostare la spesa pubblica si è ridotta drasticamente. La gente lo sa, e non crede più a un sindaco o un consigliere comunale che promette di rifare le strade o sistemare un quartiere. Dunque pensa: cosa voto a fare?».

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