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Il clima sbagliato

L’industria italiana è a rischio. A lanciare l’allarme è Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria. Cinquantacinquemila imprese hanno chiuso i battenti per colpa della crisi. Il 15% della base manifatturiera non c’è più. Sono numeri che dovrebbero far suonare campanelli d’allarme a distesa fra politici e sindacalisti. Invece nulla.
Nel suo discorso programmatico il premier Letta non ha fatto cenno a possibili politiche di rilancio. I sindacati, dal canto loro continuano a celebrare antichi rituali. Si parla molto di Imu. Assai poco di lavoro. Le proposte avanzate dal ministro Giovannini fanno quasi tenerezza vista la scarsa incisività. La staffetta fra generazioni? Il lavoro si crea con la ricchezza non passando il testimone da padre al figlio. Gli sgravi fiscali per i nuovi assunti? Inutili: senza buone leggi i contributi non servono. Il loro effetto è a termine mentre una legge sbagliata può essere eterna. Nessuna impresa assume a cuor leggero senza avere la certezza che, se la crisi dovesse indurirsi potrà tagliare i costi. Da questo punto di vista la riforma Fornero non offre garanzie.
Politici e sindacalisti restano ancora convinti che il lavoro si può creare per decreto. Invece serve flessibilità dei fattori produttivi, maggiore facilità di accesso al credito, una più alta consapevolezza a livello politico e sociale che senza interventi straordinari non sarà possibile superare il declino. Si respira un clima fortemente anti-industriale nell'Italia di oggi. Nulla di paragonabile all'ammonimento di Luigi Einaudi secondo cui la libera impresa è una mucca da preservare per sfruttare a lungo il nutrimento del suo latte. Invece, da fasce larghe di opinione pubblica, viene considerato un animale da macellare. Non altrimenti si spiega la battaglia che si sta conducendo attorno all'Ilva di Taranto. La magistratura che ha sposato fino in fondo le parole d'ordine dell'estremismo ambientalista. Un governo che, a differenza del precedente, non sembra in condizione di far rispettare la legge e l'interesse generale del Paese. I sindacati che ondeggiano. Così si è arrivato al commissariamento di una azienda per ragioni di natura ecologica. Un pericoloso precedente. Una volta l'amministrazione straordinaria c'era solo in caso di fallimento. In realtà l'Ilva era molto robusta prima dell'offensiva della Procura. Oggi rischia la chiusura e se dovesse accadere non ci sarebbero più risorse per pulire. Esattamente come accaduto a Bagnoli dove c'è un'altra grande acciaieria dimessa. L'impresa deve vivere. Crea ricchezza, genera sviluppo, crescita sociale, cultura, politica. La povertà, invece, produce solo miseria.

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