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«Al Cefop più dirigenti che alla Fiat» I commissari svelano il buco di bilancio

Il Tribunale dà ragione agli amministratori. L’ente incassava 26 milioni l’anno ma ne pagava 34 per i dipendenti

PALERMO. Fino a quando non è iniziata la procedura fallimentare, nell’autunno del 2010, il Cefop incassava circa 26 milioni all’anno dalla Regione ma ne pagava 34 ai dipendenti. La vicenda del colosso dei corsi professionali fotografa il sistema-Formazione, messo in ginocchio da cifre che il commissario straordinario Giuseppe Benedetto definisce «figlie di una follia collettiva». Perchè scavando nei dati di bilancio viene fuori che «c’erano 51 dirigenti, tutti di ottavo livello e cinque addirittura di nono livello, con stipendi fra i 1.750 e i 1.900 euro netti al mese. Neanche alla Fiat...».
Da qui è nato il maxi buco di bilancio (stimato fra gli 80 i 100 milioni) che ha costretto la terna di commissari nominati dal ministero a varare un piano di tagli senza precedenti. Ne sono nati 342 licenziamenti, che hanno portato il personale attuale a poco più di 630 dipendenti. «Sulla situazione debitoria precedente - precisa oggi Benedetto - deciderà il Tribunale fallimentare. Ma il bilancio adesso è in equilibrio». Anche se su tutto l’iter di risanamento pesa una pioggia di sentenze in arrivo proprio dopo che i licenziati hanno fatto ricorso. Pronunce giuridicamente articolate che stanno agitando l’ultima fase di vita del vecchio Cefop, in attesa della chiusura del commissariamento (a fine anno) e della pubblicazione di un bando che metterà all’asta l’ente alleggerito da personale e debiti.
Il giudice del lavoro di Palermo ha rigettato i ricorsi contro i licenziamenti. Ma il tribunale di Termini Imerese ha emesso sentenze diverse. Letteralmente «il licenziamento viene annullato» ma la pronuncia, applicando le nuove norme Fornero, precisa anche che «è rigettata la domanda di reintegro al lavoro, non è proponibile il risarcimento del danno» e non sono concesse neppure le spese processuali a vantaggio dei lavoratori. In pratica, i licenziati non torneranno al lavoro e - spiega ancora Benedetto - l’eventuale risarcimento del danno potrebbe essere disposto solo in sede fallimentare. E lì in pratica i lavoratori dovrebbero concorrere con gli altri creditori, prima fra tutti l’Inps «che chiede 30 milioni per contributi previdenziali e Tfr non versati».
Il tribunale ha riconosciuto l’annullamento per via dell’inosservanza degli obblighi di informazione e chiarezza delle comunicazioni ma ha anche riconosciuto che «i criteri per la scelta dei lavoratori da licenziare sono stati concordati con i sindacati e non ci sono dunque elementi discriminatori». I commissari hanno agito dunque correttamente e i licenziamenti non sono arbitrari. Si aprirà comunque un braccio di ferro, perchè sono attese altre sentenze e alcune, soprattutto, quelle che riguardano i dirigenti stanno invece del tutto andando nella direzione dei ricorrenti. Ma Benedetto e gli altri due commissari, Bartolo Antoniolli e Ciro Falanga, segnalano varie anomalie che hanno portato al boom di personale: «La maggior parte degli assunti, parenti di politici o dei vecchi amministratori, erano amministrativi. C’erano poi spese assurde, come quella da 150 mila euro all’anno per una delle varie sedi di Palermo». I 630 dipendenti rimasti oggi lavorano di nuovo ai corsi finanziati dalla Regione mentre - va detto - i 342 licenziati dovrebbero usufruire della cassa integrazione anche se la maggior parte di loro da luglio scorso non la prende per intoppi burocratici.

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