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Divo o belzebù, lui disse: "Il diavolo? Speriamo di non vederlo nell’Aldilà"

Nella Dc per decenni non ha avuto una corrente puntando sempre al governo e mai al controllo del partito

Crede nel diavolo al quale è stato politicamente tante volte paragonato?, chiesi ad Andreotti nel 2008. Lui ridacchiò: «Mi astengo…». Per conflitto di interessi?, insistetti. «Ah, no - rispose -. Speriamo di non vederlo nell'Aldilà. Di qua un certo numero di allievi ce l'ha. Se ne avesse meno, sarebbe meglio…».
Giulio Andreotti era uno dei pochissimi politici ad avere uno spiccato senso dell'ironia e dell'autoironia. Era davvero Belzebù? È possibile, perché non si può essere al centro della politica italiana per cinquant'anni senza aver fatto un patto col diavolo o averne preso le sembianze. Ma se Andreotti è stato un diavolo, aveva ragione lui nel dire che si trovava in buona compagnia. Perché se tante ne ha fatte, tante ne ha subite: si ricordi la condanna a 24 anni come mandante dell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli, poi annullata, e quella come mafioso in servizio permanente effettivo retrodatata (e prescritta) agli anni precedenti il 1980. Quello che fu definito il “processo alla storia d'Italia” e che impegnò una mole investigativa mai vista prima (e paragonabile solo a certe indagini su Berlusconi) si sgonfiò come un sufflè.
Quando nel 2004 andai a trovarlo ogni lunedì mattina per alcuni mesi per chiedergli di testimoniare sulla storia d'Italia di cui era stato protagonista, sorbendo un cappuccino e mangiando una piccola brioche, parlava a braccio di De Gasperi e di Berlusconi, di Pio XII e di Papa Wojtyla come di contemporanei che aveva conosciuto nel profondo. È stato di gran lunga l'uomo - preti compresi - in maggiore confidenza con tutti i Pontefici. Montini, sostituto in segreteria di Stato, lo segnalò a De Gasperi che l'aveva conosciuto nella biblioteca vaticana dove il giovanotto andava in cerca di carte per una tesi sulla Marina pontificia e dove lo statista era stato ristretto dal fascismo.
«Lascia perdere questa roba e pensa alla ricostruzione dell'Italia», gli disse De Gasperi. E lui ne diventò l'ombra, facendosi odiare dai democristiani della generazione precedente. Entrava nella stanza di Pio XII senza farsi annunciare. Seppe in anticipo dell'elezione di Giovanni XXIII, fu con Moro il braccio politico di Paolo VI, Giovanni Paolo II gli tributò un pubblico e clamoroso abbraccio di solidarietà durante il suo interminabile calvario giudiziario. «Certi procuratori - mi disse il senatore - sperano che io muoia prima della conclusione del processo. Ma la mia famiglia è fatta di gente longeva…».
Nella Dc per decenni non ha avuto una corrente, puntando sempre al governo e mai al controllo del partito. Ma il partito ha avuto bisogno di lui quando bisognava risolvere delicati intrecci, a destra come a sinistra. Se bisognava aprire a destra, ecco Andreotti pronto a imparentarsi con il liberale Malagodi. Ma se era necessario il “compromesso storico”, Moro sostenne che solo Andreotti poteva tranquillizzare gli Stati Uniti e gli alleati occidentali. Gli incontri segreti tra Andreotti e Berlinguer avvenivano in casa di Tonino Tatò, braccio destro del leader del Pci, ma vicino ai cattolici comunisti. E i due, se mai si amarono, si rispettarono profondamente. Nel '92 puntò al Quirinale e i suoi affondarono il candidato ufficiale della Dc, Arnaldo Forlani. Ma quando fu ucciso Falcone, il Pci gli fece capire che non avrebbe potuto contare sui suoi voti. Durante Tangentopoli, ad Andreotti non fu trovato un centesimo. La sua abitazione signorilmente dignitosa, non ha un solo dettaglio di lusso. Per colpirlo - e per abbattere il simbolo stesso del potere dc - dovettero cercare tra i mafiosi.
Il più grosso peccato di Andreotti sta in alcune amicizie sbagliate, a cominciare da quella con Salvo Lima, che da vivo - peraltro - non fu mai condannato per mafia, ma ne portava un odore fortissimo. Gli furono scaraventati addosso decine di pentiti. Ma quando essi citavano la data di un incontro sospetto, le infallibili agende di Andreotti documentavano l'alibi. Andreotti non sarebbe diventato Andreotti se milioni di italiani non glielo avessero consentito. Ha avuto un potere immenso per un periodo immenso. «Potere - mi disse in televisione nel 2002 - non è solo quello di decidere, ma di vivere potendosi aggiornare continuamente, senza essere nella stratosfera o credendosi qualcuno diverso dagli altri. Da questo punto di vista, penso che il potere lo conservo e questo non mi dispiace per niente…».

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