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L’Europa, le riforme e i costi della politica

Europa e riforma delle istituzioni con l’abbattimento dei costi della politica. Crescita economica come paradigma prevalente rispetto all’austerità. Su questi cardini gira il discorso programmatico del governo Letta. L’Europa ne rappresenta il cuore e la cornice. L’Italia è uno dei sei Paesi fondatori dell’Unione. I trattati costituzionali furono firmati a Roma. Da questa scelta non si torna indietro. Vale per le intemperanze che nei mesi scorsi si avvertivano all’interno del Pdl. Ma anche per la Lega (che mostra di aver compreso avendo annunciato l’astensione).
Soprattutto per Grillo. I Cinque Stelle voteranno un'opposizione dura e pura. Eppure molti passaggi del programma dovrebbero incontrare il loro interesse. Per esempio l'abbattimento dei costi della politica e l'abolizione delle Province. Ma più in generale è l'annuncio delle riforme istituzionali che dovrebbe incontrare larghi consensi: cancellazione del bicameralismo perfetto e più spazio alla volontà popolare nella determinazione dell'indirizzo politico del Paese. Una modernizzazione complessiva dello Stato che non dovrebbe incontrare ostacoli. Il cambio della legge elettorale come definizione di un nuovo rapporto fra i cittadini e la politica.
Ma è sull'economia che Letta si gioca gran parte del suo successo. Le novità sono importanti. Modifica dell'Imu, con il rinvio dei pagamenti di giugno. Stop all'aumento dell'Iva e via libera alle misure per favorire la crescita. In testa al menù gli sgravi fiscali per chi assume giovani e chi applica contratti a tempo indeterminato. «E se tra 18 mesi le riforme non saranno ben avviate, ne trarrò le conseguenze» annuncia il premier. Un programma ambizioso, piaciuto molto a Pd e Pdl. Forse troppo ottimista. Le misure proposte da Letta, considerando solo le più incisive, per essere applicate richiederebbero un tesoretto di oltre 10 miliardi. Non pochi, visto che il governo Monti poche settimane fa si scervellava per trovare un miliardo per rinnovare le casse integrazioni in deroga. Eppure secondo la Cgia di Mestre l'aumento dell'Iva implicherebbe introiti per le casse dello Stato di 2,1 miliardi nel 2013 e 4,2 nel 2014. Lasciare l'aliquota invariata comporterebbe, quindi, un mancato introito di circa 6 miliardi. L'abolizione dell'Imu farebbe sparire 4 miliardi solo per la prima casa. Congelare l'intera imposta aprirebbe un buco di 24 miliardi. Per non parlare del problema esodati: innanzitutto, bisogna capire quanti saranno (le stime parlano di 150mila lavoratori) coloro cui si dovrà garantire un «trapasso» morbido tra licenziamento e pensione. Poi si potranno fare i conti definitivi. Ma certo non saranno spiccioli.
Non c'è dubbio che il governo Monti ha rimesso a posto i conti e questo consente un'agibilità prima sconosciuta. Tuttavia sarebbe opportuno che il premier dettagliasse un po' di più i costi. Così è troppo generico. Altrettanto per quanto riguarda il lavoro: ha spiegato che renderà più semplice l'accesso dei giovani attraverso robusti sgravi contributivi. Ma siamo sicuri che sia sufficiente? Perché poi le agevolazioni finiscono ma il lavoratore resta. Se non si creano le condizioni per lo sviluppo c'è il rischio di alimentare fuochi fatui. Lo sviluppo non nasce per decreto ma solo creando le condizioni per gli investimenti privati. Ovviamente gli sgravi sono graditi. Ma rappresentano la ciliegina. Non la torta.

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