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Parlamento, un patto per loro ma per noi

Il nuovo Parlamento si insedia. Dopo una consultazione elettorale «decisiva», si è ora all’impossibilità di decidere. L'elezione dei vertici delle Camere e del nuovo governo, sono per ora sospese nella nebulosa dei «no». Il Pd rifiuta la grande coalizione con il Pdl. E cerca Grillo. Ma Grillo rifiuta accordi con i partiti secondo lo slogan: «Siete accerchiati, arrendetevi». E allora? Si aspetta il miracolo di Giorgio Napolitano, il capo dello Stato delle missioni impossibili. Niente è più come prima. Ogni equilibrio politico è saltato. Dietro lo tsunami di febbraio, c’è un mondo nuovo. Dai colori sconosciuti. Dagli sviluppi imprevedibili.
Pd e Pdl vedono frantumarsi le basi del consenso. I loro ceti fuggono. La Lega crolla. Un terzo polo al centro, tra Monti e Udc, non nasce. Milioni di elettori trasmigrano. Protagonisti di una protesta contro un sistema che non garantisce più nulla. Chiudono più di mille imprese al giorno. Quattro giovani su dieci cercano lavoro. Chi vive di reddito medio non arriva alla quarta settimana. Sei mesi di stipendi servono a pagare le tasse. Per colpa di un debito pubblico esorbitante, il terzo del mondo. Il Parlamento è ridondante. I partiti appaiono avidi e lontani. Burocrazia e giustizia sono paralizzanti. La protesta nasce da qui. È interclassista, diffusa. Di difficile ritorno.
In questo contesto deve operare Giorgio Napolitano. Ci sono differenze cruciali rispetto a un anno fa. Quando condusse in porto il governo Monti. La soluzione possibile resta un «governo del Presidente». Con dentro personalità fuori dai giochi. Visibilmente distinto dai partiti. In grado di muovere, per pochi mesi, su tre percorsi cruciali. In primo luogo, tutelare i conti pubblici, rassicurando i mercati finanziari e l'Europa. Non si scherzi col fuoco. Per vivere il Paese deve ottenere in prestito da 30 a 35 miliardi al mese. Se non è affidabile, lo spread schizza in alto. E ogni punto ci costa quattro miliardi. In secondo luogo poche riforme essenziali. Quella elettorale intanto, perché dalle urne si possa uscire con governi stabili. Poi, quella delle politica e dei suoi costi. Con tagli radicali che la rendano meno onnivora e invasiva (non dimentichiamo, ci sono settemila enti governati da vertici nominati dai partiti). In terzo luogo la crescita. Con tagli di spesa importanti per ridurre le tasse su famiglie e imprese, ridando fiato a produzione e consumi. E provvedimenti rapidi per sanare i debiti dello stato con le imprese. Un governo così non è semplice. Ma sembra l'unico possibile allo stato delle cose.Certe aperture dei grillini nelle ultime ore lo confermano.
Solo che nessun governo, nessun presidente possono qualcosa se ciascuno non partecipa al tutto. Nell'Italia che non cresce da vent’anni, non c'è novità possibile se non cambiano vizi ed errori diffusi. I sindacati capiscano che il lavoro non si crea per legge o per decreto. Ma con leggi utili per far funzionare le imprese. Proprio ieri la Banca europea ripeteva quanto siano necessarie riforme del lavoro per «promuovere una economia flessibile, dinamica concorrenziale». Restiamo sordi? Regioni e Comuni non possono solo gridare contro il «massacro sociale». C'è da ristrutturare spese, rimuovere sprechi, lassismi e ruberie, per rimuovere il massacro fiscale che i contribuenti subiscono. Gli industriali devono pretendere norme adeguate su fisco e lavoro, misure congrue sul credito. Ma per riprendere ruolo e slancio, per essere protagonisti della crescita. I giudici devono esercitare il loro ruolo, per una Giustizia che dia certezze in tempi rapidi. Ma rientrino dalle «missioni improprie» che opportunamente il capo dello Stato ha contestato.
Poi c'è il punto che riguarda tutti: non si può vivere di debiti nel debito. I paesi ricchi non sono al centro del pianeta. Si spostano i baricentri geoeconomici. Nuovi protagonisti irrompono nei teatri del mondo. Senza manovre di rientro non c'è futuro. Pensiamo al conclave che si è concluso con l'elezione di Francesco. Un Papa «con i sandali e senza scandali», come scrive il Financial Time, ha colmato il vuoto di una Chiesa indebolita da divisioni al limite della lacerazione. I cardinali hanno il sostegno dello Spirito Santo. Ma c'è uno spirito della ragione che può sostenere la politica nelle difficoltà terrene. Ha funzionato un anno fa, con il governo Monti, la «strana maggioranza» e l'uscita dalla bufera finanziaria. Speriamo funzioni ancora. Perchè partiti divisi trovino un patto tra loro. Ma che abbia al centro l'Italia di tutti. Non la «loro».

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