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L’uomo solo nel Palazzo, riservato ma sincero e coraggioso

La si è percepita spesso, in questi anni, ancora più accentuata quando i palazzi del Vaticano, in cui forse non è mai stato fino in fondo a suo agio, sono diventati un luogo di intrighi e di complotti di cui egli è rimasto attonito, innocente spettatore. Lui amava studiare, scrivere, suonare il pianoforte. Il riserbo del suo carattere, pur animato da un segreto fervore di carità pastorale, faceva sì che, anche quando si lasciava abbracciare dalla folla, qualcosa di lui rimanesse custodito nel santuario della sua intima solitudine. E anche le sue dimissioni sono maturate, a insaputa di tutti i suoi più stretti collaboratori, in questa solitudine.
Ricorderemo anche la fragilità e l'umiltà di questo Papa. Quando, nel 2009, scrisse la lettera con cui spiegava ai vescovi di tutto il mondo la sua decisione di rimettere la scomunica a un vescovo lefevriano che si era poi rivelato un negazionista dell'Olocausto, molti notarono che non era mai accaduto che un Papa riconoscesse pubblicamente uno sbaglio e chiedesse per esso scusa. In quella occasione aveva parlato, a proposito della sua improvvida decisione, di «una disavventura (…) che posso soltanto deplorare profondamente» e, con un pizzico di amara auto-ironia, aveva anche riconosciuto che se avesse consultato Internet avrebbe potuto evitare quella gaffe, assicurando che in futuro in Vaticano si sarebbe stati più attenti ad usarlo.
Ricorderemo la sua sincerità. Nella lettera prima menzionata, ricordava, citando san Paolo, la tendenza dei primi cristiani della Galazia a «mordersi e divorarsi a vicenda». Ebbene, osservava, «questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa». Nessun Pontefice aveva mai denunciato con questa franchezza le miserie di certi stili della comunità cristiana. E del resto, anche prima della sua elezione, nella via crucis del venerdì santo che la precedette, aveva pronunciato parole gravi e inconsuete in bocca a un cardinale: «Non dobbiamo pensare», aveva detto, «anche a quanto Cristo debba soffrire nella sua stessa Chiesa? (…) Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». Su questa linea, Benedetto XVI è stato il Papa che ha portato alla luce con estrema energia lo scandalo dei preti pedofili, auspicando - anche questo per la prima volta - il loro deferimento ai tribunali laici.
Di questo Papa ricorderemo, ancora, il suo appassionato amore per la verità e la sua ferma convinzione che il cristianesimo possa costituire un approdo - o almeno una prospettiva - per tutti coloro che, a partire da qualunque posizione, la cerchino onestamente. A patto, egli sottolineava, che si accetti di vivere la ricerca razionale in tutta la sua ampiezza, allargandone i confini rispetto a quelli della scienza e della tecnologia, oggi spesso assunte come unici modelli di razionalità. Per questo evidenziava, nel messaggio evangelico, quel prologo di s. Giovanni in cui si dice che «In principio era il Logos», il Verbo, il Pensiero di Dio che, facendosi carne, in Cristo, è venuto a salvare il mondo dall'errore e dal peccato.
E in questa caratterizzazione del cristianesimo come religione del Logos, dunque della Verità e della Razionalità, Benedetto vedeva anche il migliore antidoto ad ogni rischio di cieco fondamentalismo e di fanatismo. La fede del cristiano non può prescindere dalla ragione, e la ragione è di per sé apertura al confronto, comprensione dell'altro, disponibilità ad accogliere ciò che è vero da qualunque parte venga.
Dopo la sua scelta di dimettersi, però, di Benedetto XVI ricorderemo soprattutto il coraggio e l'onestà intellettuale. Non è facile dire, a se stessi prima che agli altri: «Non sono più in grado». In questo tempo di cariatidi inamovibili, di presuntuosi convinti di essere sempre all'altezza, a dispetto dell'evidenza, di personaggi che propagandano le loro sicurezze, quest'uomo che - non costretto, anzi neppure sollecitato da alcuno - riconosce che il suo tempo è concluso e chiede, per il bene della comunità, che altri ne assumano la guida, è un esempio di immenso coraggio e onestà. Non ha avuto paura di uscire per sempre dal cono di luce dei riflettori, di terminare la sua esistenza terrena nel silenzio e nell'ombra. Perché sa - e di questa testimonianza di fede gli siamo grati forse più che di ogni altra cosa - che questo silenzio e quest'ombra sono quelli del Dio a cui egli ha dato tutta la sua vita.

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