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A Gela un gruppo concorrente a Cosa Nostra e Stidda: 28 arresti

Blitz della squadra mobile di Caltanissetta nella notte. Il clan, fondato e diretto da Giuseppe Alferi era dedito "alle estorsioni, alla gestione di un vasto giro di usura, alla ricettazione, all'imposizione del prezzo della frutta. Disponeva uomini organizzati in squadre, armi e mezzi

GELA. A Gela c'é un "terzo polo" nella criminalità organizzata, costituito dal cosiddetto gruppo Alferi, un'associazione armata che la squadra mobile di Caltanissetta ha sgominato arrestando, durante la notte, 28 persone in esecuzione di altrettanti ordini di custodia cautelare, di cui 24 in carcere e 4 ai domiciliari.    
I provvedimenti, emessi dal gip Alessandra Bonaventura, su richiesta della Dda nissena, sono stati eseguiti con l'ausilio degli agenti del commissariato di Gela e delle questure di Asti e Pavia, nell'ambito di un'operazione denominata "Inferis". Il clan, fondato e diretto da Giuseppe Alferi - detenuto a Catanzaro - soprannominato "U Jerru", dal 2005 si sarebbe ritagliato uno spazio negli affari illeciti, contrapponendosi allo strapotere della Stidda e rendendosi autonomo da Cosa nostra, di cui però si dichiarava alleato. L'organizzazione criminale, insomma, si era ricavata uno spazio tra le due che operano nel territorio.    
Secondo gli investigatori, il nuovo sodalizio mafioso era dedito "alle estorsioni, alla gestione di un vasto giro di usura, alla ricettazione, all'imposizione del prezzo della frutta (in particolare delle angurie) con illecita concorrenza e usando violenza e minacce. Inoltre, era entrata nella raccolta di materiali ferrosi ai danni di commercianti e artigiani; nell'occupazione abusiva (e successiva vendita) di case popolari dell'Iacp. L'organizzazione disponeva di uomini, armi e mezzi.    Organizzata in "squadre", eseguiva  furti di denaro e gioielli nelle abitazioni in città, mentre nelle campagne andava alla ricerca di ferro, rame, alluminio, e di materiale di valore. Rubavano di tutto: auto, furgoni, attrezzature e automezzi industriali per poi restituirli con il cosiddetto metodo del "cavallo di ritorno", cioé dietro pagamento di un riscatto in denaro.

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