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Diffamazione, carcere per i giornalisti: sembra una vendetta della casta

Torna perciò la galera che i lavori in commissione sembravano aver scongiurato. Vista la situazione è quasi un’intimidazione. L’ambizione di mettere la museruola ad una stampa troppo indocile

C’è qualcosa che non funziona nel voto di ieri al Senato che ripristina il carcere per i giornalisti. È forte il dubbio che, nel buio del voto segreto, sia stata consumata una rappresaglia. Quasi che la classe politica, messa quotidianamente alla berlina da giornali e televisioni, abbia voluto prendersi la rivincita approvando l’emendamento presentato dalla Lega e appoggiato ufficialmente solo dall’Api di Francesco Rutelli.
Torna perciò la galera che i lavori in commissione sembravano aver scongiurato. Vista la situazione è quasi un’intimidazione. L’ambizione di mettere la museruola ad una stampa troppo indocile. Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, si avvicina a grandi passi verso la cella dove potrebbe restare per quattordici mesi. I trenta giorni che la legge consente per dare inizio alla pena scadono a fine settimana. Per carità, non si chiede nessun colpo di spugna: chi sbaglia deve pagare. Ma deve pagare in modo proporzionato, conforme alle leggi e al buonsenso. La diffamazione non è, tecnicamente, un reato di opinione. Ma la pena deve avere un rapporto con la gravità del reato e infatti la prima condanna di Sallusti prevedeva il pagamento di 5 mila euro.
Come si possa arrivare da una ammenda tutto sommato modesta a un anno e due mesi di prigione è invece un mistero e anche un indice della volubilità di giudizio di chi amministra la giustizia in Italia. Naturalmente non mancheranno le obiezioni. Non mancherà chi definirà questa indignazione come una difesa corporativa. In realtà si tratta solo di rispettare le regole del buonsenso che dovrebbero impedire di allineare la penna del cronista al coltello dell’omicida o al grimaldello del ladro.
Non si tratta di difendere un privilegio ma solo di impostare la scala delle responsabilità. Di questa esigenza si era fatto interprete il Parlamento con il testo approvato in Commissione. In aula il colpo di mano che resuscita le manette. Viste le modalità del voto e il silenzio dei senatori è sembrata più una vendetta della Casta che una scelta di giustizia a vantaggio della collettività.

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