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Gela, da boss ad autore di testi teatrali

Costretto al carcere a vita dopo una breve, ma violenta, militanza tra le fila dei clan locali che gli ha segnato l’esistenza. Oggi, però, Antonio Antonuccio, proprio all’interno del carcere, ha oltrepassato la soglia che lo ha condannato. Si è messo a studiare e lo ha fatto con impegno: tanto da divenire l’autore di un romanzo che ne illustra la vicenda personale

GELA. Costretto al carcere a vita dopo una breve, ma violenta, militanza tra le fila dei clan locali che gli ha segnato l’esistenza. Oggi, però, Antonio Antonuccio, proprio all’interno del carcere, ha oltrepassato la soglia che lo ha condannato. Si è messo a studiare e lo ha fatto con impegno: tanto da divenire l’autore di un romanzo che ne illustra la vicenda personale. “La corsa di Moncicì”, infatti, racconta quel periodo della sua vita e quell’azione di fuoco che lo portò ad uccidere per vendicare il cugino, a sua volta giustiziato. Antonuccio, attraverso il romanzo, è sbarcato anche nei teatri italiani: dalla sua opera, infatti, è stato estrapolato un lavoro che ha ricevuto diversi premi, compreso quello dedicato ad Annalisa Scarfì.


Ha mutato diametralmente la sua esistenza: finito in carcere appena maggiorenne, è riuscito a formasi proprio tra queste mura. Ha iniziato a scrivere, fino a divenire redattore di una collana di pubblicazioni realizzate dai suoi compagni di cella. Adesso, vive in regime di semilibertà nel penitenziario umbro di Fossombrone. “La corsa di Moncicì” continua a riscuotere un evidente successo, grazie anche alla collaborazione di Carmelo Gallico: un altro detenuto, finito in carcere con l’accusa di appartenere ad uno dei più importanti clan della ‘ndrangheta calabrese. Antonuccio, invece, si è allontanato forzatamente dalla città dopo l’arresto: iniziando il suo pellegrinaggio tra i penitenziari italiani. Ha detto basta con le armi e la violenza per abbracciare la formazione assicurata dai tanti testi letti durante la sua reclusione. Condannato al carcere a vita insieme a pezzi da novanta dei gruppi di fuoco che si diedero battaglia tra le vie cittadine, compresi i fratelli Antonio e Aurelio Cavallo: oggi, analizza la realtà carceraria sulle pagine delle principali pubblicazioni edite tra gli istituti di pena italiani.


Ma la notorietà l’ha ottenuta proprio grazie al suo romanzo che ha come protagoniste tre donne della sua vita: con uno sguardi diversi, analizzano l’esistenza di Moncicì alias Antonio Antonuccio. La sua è una redenzione oramai definitiva che lo ha condotto ad ottenere un regime di semilibertà legato agli studi avviati proprio in Umbria. L’assidua collaborazione con Carmelo Gallico gli ha spalancato le porte di una notorietà che nessuno avrebbe mai preventivato quando, a diciotto anni, finì nel vicolo cieco della violenza e del carcere. Le armi sono oramai lontane sostituite dai libri e dai tanti fogli da riempire.

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