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Nel destino di Monti pure le primarie del Pd

Che farà l'anno prossimo Mario Monti? È molto difficile che il Professore si limiti ad occupare il pur prestigioso seggio di senatore a vita facendo illuminati interventi d'aula per commentare le leggi finanziarie del prossimo governo. Egli si è detto incerto e in effetti - pur non rivelate - le alternative sul tavolo sono almeno tre. La prima è il Quirinale. I candidati non sono pochi: da Prodi ad Amato, da D'Alema a Casini. Qualcuno punta a una conferma di Napolitano che pur essendo in forma perfetta ha 87 anni. Monti sarebbe un ottimo candidato bipartisan alla presidenza della Repubblica se a palazzo Chigi tornasse un politico puro. Al secondo posto nelle aspirazioni del presidente del Consiglio ci sarebbe la presidenza della Commissione europea.
Il secondo mandato di Josè Manuel Barroso scade nell'estate del 2014 e non c'è dubbio che Monti riscuoterebbe il consenso generale per sostituirlo. Anche se un altro italiano (Mario Draghi) occupa un posto rilevantissimo in Europa e se Romano Prodi è stato l'immediato predecessore di Barroso, Monti ha l'autorevolezza necessaria per rappresentare al meglio i paesi mediterranei e per tutelare al tempo stesso il rigore richiesto da quelli del Nord. La terza ipotesi è tuttavia la più vicina e la meno improbabile: Mario Monti resta dov'è anche nella prossima legislatura. Non occorre essere degli specialisti per prevedere una legislatura breve.
Salvo sconvolgimenti, avremo un parlamento senza una solida maggioranza politica che possa governare la coda (la coda?) della crisi con una forte opposizione nel Palazzo e nelle piazze. Col sistema proporzionale entrerebbero alle Camere non meno di cento amici di Beppe Grillo. Si aggiunga di Di Pietro e c'è già di che ballare. Il Pd è in vantaggio. Bersani lo ha traghettato (e non è certo una colpa) verso una formula socialdemocratica europea: al comizio conclusivo della festa dell'Unità, si è fatto inquadrare su uno splendido sfondo rosso Valentino. Indossava una cravatta rossa e ha abbracciato una bambina col vestitino rosso. Strappata la foto di Vasto con Di Pietro e Vendola, si ritrova Vendola nella «foto del Palazzaccio» (la sede romana della Cassazione) accanto a tutti i sostenitori del referendum per bocciare la nuova formulazione dell'articolo 18: quella che i commentatori economici anglosassoni ritengono invece debole ed equivoca. Vendola sa benissimo che in un anno elettorale il referendum non può essere celebrato e quel che ha fatto è tutto fumo per la campagna elettorale. Ma il leader del Sel è stato avvertito dai capi della Fiom che doveva dare un segnale inequivoco se vuole i loro voti. A questo punto una alleanza con Casini non è immaginabile, perché nessuna delle star alle quali l'Udc presta attenzione (da Passera alla Marcegaglia, da Riccardi a Ornaghi a Bonanni) è disponibile a mettersi intorno a un tavolo con il leader della sinistra radicale.
Nel 2006-2007 Prodi ha sofferto l'anima sua ed erano gli ultimi anni di crescita. Adesso una nuova Unione sarebbe una tragedia. Perché salterebbe l'intera agenda Monti: non sarà la bibbia, ma piaccia o non piaccia prevede un «metodo», come ha ricordato ieri il ministro Barca, di cui l'Italia per molto tempo non potrà fare a meno. Per questo è allo stato prevedibile un governo di unità nazionale. Un governo politico, tuttavia, non il governo tecnico che abbiamo oggi. Il governo che Monti avrebbe voluto fin dal primo momento, ma che gli fu impedito da Bersani attento a non mischiarsi con gli uomini di Berlusconi.
Il segretario del Pd accetterà domani quel che non ha accettato ieri? Chissà. Certo, Matteo Renzi, da ieri in giro per l'Italia, ha disegnato un partito che con quello di Bersani ha in comune soltanto il nome. Le primarie serviranno perciò a testare quanta parte del Pd guarda a Vendola e quanta (davvero) ai centristi, che sono comunque alternativi.
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