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Marchetti: "L'idillio è finito con le nomine"

L'ex assessore rompe il silenzio e spiega le ragioni del suo addio: "Non mi è piaciuto nulla. In un'azienda non metto un amico, perchè uso dei soldi pubblici". E sul direttore generale attacca, definendolo illeggittimo

PALERMO. «Sa che cosa avrei fatto quel giorno? Mi sarei alzato e avrei annunciato le mie dimissioni. Così, pubblicamente, senza aspettare un minuto». Quel giorno è il 24 luglio scorso. Leoluca Orlando, in una conferenza stampa a Villa Niscemi che doveva iniziare alle tre e mezza e cominciò due ore dopo, snocciola al termine della giunta i nomi dei nuovi vertici delle aziende partecipate. Accanto a lui, il vicesindaco Ugo Marchetti è una sfinge. Silenzioso, pallido, teso. A un giornalista che gli chiede notizie sui tempi del bilancio, lui sibila una frase lapidaria. «Il bilancio è una cosa seria». Adesso, dopo le dimissioni-terremoto, Marchetti racconta per la prima volta le ragioni del suo addio. Che partono da lì, da quella giunta, «la prima frattura istituzionale, etica, e vorrei dire anche estetica».



Non le sono piaciuti quei nomi?


«Non mi è piaciuto nulla, dal punto di vista procedurale, legale, etico. Non si scelgono i responsabili di aziende pubbliche — che peraltro sono tutte sotto inchiesta della Corte dei Conti — senza tenere conto di storie, capacità, di che cosa propongono, di che piano fanno. Se ho un taxi e devo scegliere chi guida, ci metto un amico, in un’azienda partecipata no, perché sto investendo e utilizzando soldi pubblici. Anzi le dico di più: che anche al taxista almeno devo chiedere se ha la patente...».



E invece...


«E invece io mi sono trovato quei nomi sul tavolo, io, l’assessore chiamato a risanare il bilancio del Comune. Ho chiesto, mi sono battuto: ma scusami, Luca, qual è il criterio con cui sono stati scelti? Li conosco, sono amici miei, mi ha risposto, gente seria. Pochi giorni dopo, il 4 agosto, ero già in ferie, a Roma, a meditare l’addio. Poi il 6 agosto ho avuto la conferma che quella era una strada obbligata».



Il 6 agosto la giunta ha nominato il direttore generale, Luciano Abbonato...


«Sì, e lo ha fatto quando eravamo in ferie io, il segretario generale e il ragioniere generale, cioè tutto il vertice funzionalmente deputato a esprimere un parere».



Non le è andata proprio giù questa nomina?


«Anche qui la questione è etica e procedurale. La sua nomina è illegittima. La legge dice che i Comuni che impegnano più del 50 per cento del loro bilancio in spese per il personale non possono fare nuove assunzioni. Punto. Dubito che l’incarico potesse essere dato anche a titolo gratuito. Se proprio vuoi un direttore generale, prendi un interno e lo nomini. Altrimenti ci rinunci».



L’avvocatura del Comune ha dato parere positivo alla nomina...


«Pochi anni fa, lo stesso avvocato, con altro sindaco e per lo stesso ruolo, si era espresso in modo opposto...».



E quel 6 agosto che ha fatto? Ha preso il telefono e ha chiamato Orlando?


«No, ho preso carta e penna e ho cominciato a scrivere la mia lettera di dimissioni. L’impegno che avevo assunto con il sindaco era di mantenere riservato il documento, ma l’evoluzione dei fatti e la loro inaccettabile strumentalizzazione hanno reso indispensabile la mia decisione di cambiare atteggiamento. Affinché non si possa costruire sul nulla, o in vista di privati, cinici interessi».



Che ne pensa della frase di Orlando sulla macelleria sociale...


«Io dico che solo il parlare di macelleria sociale porta alla macelleria sociale, perché crea disamore, disincanto, animosità. Se poi questa frase è riferita a pubblici funzionari, diventa macelleria istituzionale, perché è un’aggressione a persone che rappresentano istituzioni: così si avvelena il sistema e si incattivisce la gente. Se infine questa macelleria è sostenuta da istituzioni contro altre istituzioni, diventa irresponsabilità nella gestione pubblica. In contesti come Palermo, tutto questo assume una gravità inaccettabile. Soprattutto se diventa strumento per ottenere risultati, se serve a spingere il governo romano a erogare risorse. Dire per esempio: se non mi dai i soldi, in città arrivano le bombe, è criminale. Serve tutt’altro: coesione, partecipazione, strumenti di creazione di progetti nuovi, fedeltà alle istituzioni».



L’assessore Giusto Catania l’ha definita un fuoriclasse che ha deluso...


«Io ho appena dato mandato al mio legale di querelarlo, se vincerò devolverò i soldi al Comune di Palermo. Sempre che quel Giusto Catania non sia solo omonimo dell’assessore che ho conosciuto, quello che mi ha telefonato all’indomani delle mie dimissioni dicendosi dispiaciutissimo, affermando che ero la punta di diamante della squadra. E poi se un fuoriclasse delude, lo cacciano a pedate. Allora perché mi hanno implorato di restare, in qualsiasi ruolo e a qualsiasi prezzo?».



Non lo querelerà per questo...


«No, lo querelo perché ha detto che volevo aumentare l’Imu sulla prima casa, ed è falso. Che ero per la cessione delle partecipate ai privati, falso. Che ero contrario alla cessione di beni immobiliari. Falso. Dovendo recuperare 26 milioni di tagli, ho proposto il ritocco della Tarsu e dell’Imu sulla seconda casa. Quanto alla cessione dei beni immobiliari, anche qui, bisogna stare alle previsione di legge. Non posso limitarmi a scrivere in bilancio la vendita, questo significa andare verso il falso».



Le sue dimissioni hanno scatenato il panico sulla tenuta finanziaria del Comune. Qual è la situazione reale del bilancio?


«Che è sofferente perché pesantemente condizionato dalla situazione delle società partecipate, che perdono tra 180 e 200 milioni l’anno. Il bilancio serve a tracciare una strategia economica, qui piuttosto che anticipare scelte, le subiamo».



Sulle partecipate lei aveva chiesto una commissione d’inchiesta...


«L’ho proposta a fine giugno, con esperti esterni, seri, che avanzassero proposte e iniziative di correzione, anche sul personale. È finita con una presa in giro: il sindaco ha istituito una cabina di regia che mette dentro un sacco di gente, anche i nuovi vertici. Ho proposto: perché non ci mettiamo dentro anche le mogli, compriamo pizze e birre e andiamo a farci una scampagnata?».



E adesso, è deluso?


«Molto. Io amo Palermo come si amano i bambini, le persone fragili. Sono tornato ai miei momenti di tranquillità, ai miei privilegi, ma mi sentivo felice lì, in trincea».

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