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Chirurgia estetica e il confine tra etica e scienza

È sottile la demarcazione tra lecito e collusivo, per non trasformare l'atto medico in «bottega di interventi». Appare evidente come questi atti medici si intrecciano con questioni assai attuali e dibattute sullo statuto del corpo umano. Riflessioni suggestive che interessano la sfera religiosa, etica, filosofica, sociale che esulano da quest'articolo

di ADELFIO ELIO CARDINALE
È possibile porre dei limiti alla chirurgia estetica? Certamente sì, secondo il parere del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), presieduto dal professor Francesco Paolo Casavola, valutazione che condividiamo in pieno. Il documento richiama i medici al rispetto della deontologia. È necessario, per il lettore, qualche chiarimento preliminare. Nell'ambito della chirurgia plastica si distinguono: chirurgia estetica e chirurgia ricostruttiva.
L'espressione «chirurgia plastica» fu impiegata la prima volta nel 1838 da Eduard Zeis in un testo di medicina. Ma questo tipo di chirurgia ha origini antichissime - dall'Egitto dei faraoni agli indiani dell'epoca Veda - e serviva soprattutto per tentare la ricostruzione del naso, in quanto la sua amputazione era la pena per i delitti infamanti, a partire dall'adulterio e, pertanto, ne furono mozzati miriadi. In Sicilia ebbe grande reputazione la famiglia Branca, con interventi di chirurgia plastica effettuati nel XV secolo.
La chirurgia estetica comprende gli interventi che modificano, correggono o migliorano l'aspetto estetico e funzionale del corpo. La chirurgia ricostruttiva mira a correggere malformazioni congenite o determinate da eventi traumatici demolitivi. In questi casi l'esigenza estetica e terapeutica si soprappongono. Nel caso di chirurgia estetica, trattandosi di intervento non strettamente terapeutico, per di più condizionato spetto da molteplici fattori - psicologici, sociali, culturali, economici - si pongono forti limiti alla liceità sui minori o incapaci.
Appaiono anche non accettabili sia interventi sproporzionati, sia estrema accondiscendenza dell'operatore chirurgico in rapporto a richieste carenti di rigore logico-estetico. È sottile la demarcazione tra lecito e collusivo, per non trasformare l'atto medico in «bottega di interventi». Appare evidente come questi atti medici si intrecciano con questioni assai attuali e dibattute sullo statuto del corpo umano. Riflessioni suggestive che interessano la sfera religiosa, etica, filosofica, sociale che esulano da quest'articolo.
In estrema sintesi si vogliono veicolare - da parte dei richiedenti prestazioni medico-chirurgiche estetiche - significati percepibili dal mondo esterno, quasi una maschera che si sovrappone alla propria identità, con un processo di oggettivazione del corpo, che si vuole modificare in base a modelli e condizionamenti sociali o stereotipi alla moda. I condizionamenti mediatici e il sempre più diffuso mercato della bellezza si intersecano con il tumultuoso sviluppo dell'innovazione biomedica e tecnologica.
La definizione di salute da parte dell'Oms-Organizzazione mondiale della sanità come «completo benessere fisico, psichico e sociale» introduce il concetto di «salute estetica», da promuovere, sia da parte del medico che dal paziente, rispettando criteri di proporzionalità e accuratezza. In queste prestazioni il risultato non sempre coincide con la soddisfazione e il presunto obiettivo del paziente. Pertanto in chirurgia estetica si rende ancor più necessario un approfondito, consapevole e responsabile consenso informato, che assorbe ogni profilo di giustificazione.
La possibile percezione distorta della propria immagine ha indotto il CNB a ritenere opportuno il divieto normativo di impianto alle minorenni di protesi mammarie per ragioni meramente estetiche. Nello stesso abito ancor più acquista rilevanza bioetica la questione della chirurgia estetica su minore con sindrome di Down finalizzato - con intervento invasivo e doloroso - alla conformazione a canoni sociali di presunta «normalità». Non si ravvisano ragioni morali per giustificare trattamenti diversi da quanto previsto nei confronti del minore o incapace.
Il soggetto Down è inidoneo a esercitare i diritti di cui è titolare e, pertanto, non può essere sottoposto a trattamenti biomedici e chirurgici non necessari per la propria salute. Solo esigenze di tipo funzionale possono ritenersi legittime e spetterà ai genitori - in accordo e con l'aiuto del medico - accertare che l'intervento operatorio si realizzi nell'interesse della persona Down, con sicuro carattere di beneficialità.
Per quanto riguarda la chirurgia ricostruttiva i progressi hanno portato alla possibilità di effettuare trapianti del viso o di arti, tecnicamente definiti allotrapianti compositi di tessuti. Questo «rifacimento» del corpo umano ricade nell'ambito della donazione da cadavere, per il recupero di organi. Si realizza una stretta interconnessione tra componente estetica e terapeutica, con una netta predominanza della seconda sulla prima. Questi interventi sono eticamente giustificabili, ma necessitano di una approfondita analisi del rapporto rischio-beneficio, con ampia consulenza che coinvolge medici, psicologi, psichiatri, fisiatri e con costante monitoraggio psicobiologico del ricevente.
Temi bioetici assai delicati, che divengono sempre più complessi con i progressi della scienza medica, per i quali è necessario non solo un maggiore rigore nella formazione e professione del chirurgo plastico estetico-ricostruttivo, ma anche un'adeguata informazione e formazione sociale, attraverso campagne di sensibilizzazione. In questa vasta area problematica il professionista deve avere competenza e coscienza etica, nonché conoscere il corretto itinerario per raggiungere la meta. Ricordando Seneca che affermava che non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare.

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