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Borsellino, sognando con lui la città bellissima

Per ricordare Paolo Borsellino, siamo andati anche quest'anno nell’ulivo di via D’Amelio. Un albero che la madre del giudice ucciso ha piantato un anno dopo la strage. Diventato oggi, come quello di Falcone, un punto di pellegrinaggio. Vanno lì giovani e adulti. Vi appendono di tutto. Proprio di tutto, per lasciare un segno. Cappelli e bracciali. Fazzoletti, bandiere di ogni colore. Crocifissi, piccoli pupazzi, mattonelle, fiori di carta… persino una borsa di paglia intrecciata. Non meno di Falcone, Paolo Borsellino, quell’uomo mite e semplice dallo spirito fortissimo che decise di convivere con la morte, è diventato un simbolo.
Credeva nei giovani. Guardava lontano. Di loro diceva (e una scolaresca lo ricorda in un foglietto appeso tra le foglie): «Oggi in Sicilia la mafia c’è. E i giovani sanno che c’è e cominciano a negarle il consenso e siccome il consenso è la forza della mafia prima o poi essa andrà in crisi…». Un bambino gli scrive: «Sei morto per noi un po’ come ha fatto Gesù e per questo ti dico grazie».
Una domanda. Che Italia, che Sicilia è mai questa, dove notizie di crimini, ruberie e misfatti, pubblici e privati, possono intrecciarsi con momenti di bellezza così alti, così visibili? Qual è la spinta possibile verso il bene comune che in queste è contenuto? Rispondiamo che siamo in un paese, in una regione sospesi tra le contraddizioni. In un guado dall’esito incerto. Si intravede, tra una cronaca e l’altra, l’orlo del baratro Ma, nello stesso tempo, scopriamo spazi per il colpo d’ala. Per lo scatto all’indietro per la salvezza. Verso la ricostruzione. Sperare è possibile. Ma nella speranza bisogna esercitarsi guardando senza illusioni alla realtà. Alle sue luci, certo. Non negando di essere avvolti da ombre molto fitte.
Ora, a vent’anni anni dalla strage, ricordiamo Paolo Borsellino in un’Italia sconfitta. Risorse e sviluppo sono bloccati dopo decenni di sprechi ed economie pubbliche scellerate. Le istituzioni sono inceppate. In un conflitto che vede tutti contro tutti, dove ciascuno ritiene di conseguire posizioni di vantaggio quando il degrado annuncia lo sfascio generale, un Paese in macerie. La stessa vicenda di Paolo Borsellino, purtroppo, oggi si intreccia con polemiche sconfortanti tra Procura di Palermo e capo dello Stato. Indagini su non chiarite trattative su Stato e mafia. Una giustizia imbrigliata. Che sulla strage di cui furono vittima il giudici e i suoi cinque uomini di scorta, chiude un processo per poi, precipitosamente, aprirne un altro. Con nuovi pentiti che accusano, con nuovi imputati. Un contesto buio. La denuncia di tutto questo deve essere ferma. Senza per questo nulla togliere ai grandi risultati dell'azione di contrasto alla mafia. Ne davamo conto, ricordando Falcone un mese fa. Li ripetiamo oggi. Sono in galera tutti i grandi capi. La mafia appare viva, ma frantumata al suo interno. Al suo vertice ci sono criminali meno abili e influenti. Gli omicidi si contano sulle dita di una mano. I loro patrimoni sono stati duramente colpiti. Una ricchezza di quaranta miliardi è stata assicurata alle casse dello Stato. Ma la contraddizione tra tutto questo e quanto sopra resta. E si forma una nebulosa di comportamenti che lascia intravedere azioni di gruppo, conflitti tra lobby, intrighi tra potentati, manovre sotto banco nella quale non si intravede la strada dell'equilibrio tra i ruoli e tra i poteri.
In questo contesto, un'altra contraddizione diventa più acuta. Nella fase in cui vengono raggiunti importanti successi militari nel contrasto della mafia, la mafia appare forte e penetrante nei circuiti della politica, della burocrazia, delle istituzioni pubbliche e dell'economia legale. Causa ed effetto di una crisi dei partiti che sta al centro di tutto. Non vediamo emergere forti leadership in grado di comunicare una missione e ottenere i consensi necessari per realizzarla. Tutto si appiattisce nel gioco di parte tra le parti. Le varie formazioni sulla scena si frantumano in gruppi che lottano l'uno contro l'altro. Ciascuno cercando un interesse proprio per indebolire l'avversario.
In questo quadro si formano regole e meccanismi per consentire una inclusione nel potere di sostenitori fedeli e amici degli amici. Un sistema che produce interessi grandi e piccoli, che concede favori e prebende per selezionate oligarchie e privilegiati in massa (gli eserciti del precariato ne sono esempio). Ogni regola appare piegata all'interesse particolare. Ogni parte è indifferente all'interesse di tutti. Questo contesto, abbiamo detto più volte, favorisce l'infiltrazione nelle istituzioni di mafie grandi e piccole.
Ora il sistema è in crisi. Non per virtù politiche, ma per necessità finanziarie. Non ci sono più le risorse per alimentarlo. Ma più la crisi s'aggrava, più la politica dei partiti appare incapace di fronteggiarla. E lo vediamo proprio adesso, quando la Sicilia va sotto i riflettori perché ospita la Regione più indecente d'Italia. Al punto che oggi s'impone una svolta non solo nella politica ma nei soggetti della politica. L'antipolitca non c'entra nulla. Se i partiti tradizionali entrano in crisi e si frantumano deve venire da altri la spinta verso il nuovo. Che sappia muovere lungo percorsi ad un tempo moderati e radicali. Moderati (da modus, ossia misura) perché nessuna prospettiva è possibile senza tener conto della realtà . Ogni novità non può prescindere da tagli dolorosi della spesa nè da un ridimensionamento di bilanci pubblici (e anche privati) per adeguare gli obiettivi alle risorse. Radicali perché bisogna rompere i tanti lacci e laccioli che tengono insieme circuiti politici, gruppi di interesse, lobby affaristiche e mafie grandi e piccole. Per arrivare a quella società in cui credevano uomini come Paolo Borsellino quando perseguivano il giusto equilibrio tra diritto, merito e risorse. Un equilibrio lontano ma nel quale giovani e non, devono saper credere. Per raggiungerlo con azioni adeguate. Senza fughe. Né scorciatoie. Ma con forte senso della novità e della concretezza. Condividendo sempre per le città, per l'Isola, il sogno di questo grande magistrato ucciso quando diceva di Palermo: «Questa città diventerà bellissima». Vogliamo crederlo con lui. Sapendo che i vent'anni dalla sua morte non sono trascorsi invano.

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