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Roma, Luis Enrique lascia: arriva Montella

Lo spagnolo getta la spugna, annunciando il suo addio alla squadra: “Non me la sento di andare avanti”

ROMA. Era arrivato dalle giovanili del Barcellona per portare in Italia un'idea di calcio diversa, inedita per i campi della Serie A. Si è ritrovato invece a salutare tutti dopo nemmeno un anno di lavoro sulla panchina della Roma, nonostante l'appoggio di società, squadra e parte della tifoseria. Per Luis Enrique l'esperienza nella Capitale è stata a tutti gli effetti un fallimento, maturato giorno dopo giorno, sconfitta dopo sconfitta. Pochi alti e troppi bassi lo hanno convinto a gettare definitivamente la spugna, lasciando a Trigoria quel contratto biennale firmato appena 337 giorni fa.    
La decisione di salutare tutti il tecnico asturiano l'aveva ormai maturata da tempo, schiacciato dalla pressione di un ambiente resosi all'improvviso ostile dopo la pazienza mostrata nel corso della stagione. La dirigenza lo aveva capito, e fino all'ultimo ha provato a fargli cambiare idea. Inutilmente. Infatti Luis Enrique ha diretto come al solito l'allenamento per preparare l'ultima gara di campionato in programma domenica a Cesena ma, al termine della seduta di lavoro, e sotto gli occhi di Baldini e Sabatini posizionati su una delle terrazze che affacciano sui campi, ha radunato attorno a sé i fidi collaboratori dello staff tecnico (col mental coach Llorente intento a riprendere tutto col cellulare), l'intera squadra, oltre a preparatori e medici. Dieci minuti di colloquio seduto su un pallone, con gli occhi lucidi, per ringraziare e salutare tutti: "Vado via". "Non me la sento di andare avanti, non riesco più a dare il 100% - le parole di resa dell'ex Barcellona davanti ai giocatori ammutoliti - Per me andare via é una sconfitta, non sono riuscito a trasmettere quello che volevo, non sono riuscito a mettere sul campo le idee del mio calcio". E ancora: "Mi scuso con quelli di voi che ho impiegato meno, che non sono riuscito a valorizzare, ma ero chiamato a fare delle scelte. Continuate comunque a seguire questa grande società".    
Società che, per dare il via alla rivoluzione americana innescata col passaggio del club a una cordata di imprenditori statunitensi, aveva puntato forte su Luis Enrique. Il primo impatto col calcio italiano, però, si era rivelato tutt'altro che positivo, con la prematura eliminazione dai preliminari di Europa League e la sconfitta all'esordio in campionato davanti al pubblico dell'Olimpico col Cagliari. Da quel momento in poi la piazza giallorossa ha dovuto mandare giù  quasi esclusivamente bocconi amari come le due sconfitte nei derby contro la Lazio e il netto ko in Coppa Italia a Torino sul campo della Juventus, poi replicato in campionato.    
Il tutto condito da scelte di formazione spesso sorprendenti - tanto da far scattare tra i tifosi il 'TotoLuisito' - e da provvedimenti disciplinari eclatanti come l'esclusione di Osvaldo a Firenze dopo la lite col compagno di squadra Lamela, e quella di De Rossi con l'Atalanta per un ritardo di una manciata di minuti alla riunione tecnica pregara. A pesare sull'addio di Luis Enrique, però, oltre ai risultati negativi sono stati anche i problemi familiari (moglie e figli non si sono ambientati nella Capitale) e uno stress fisico crescente che l'asturiano ha faticato a gestire. "Io sono asturiano, sono un combattente nato" aveva dichiarato appena dieci giorni fa. Prima di gettare la spugna davanti a tutti seduto su pallone.

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