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Quel malessere tra i capi del Pdl

Si dice che Berlusconi, più che da Alfano (che è stimato da tutti i suoi interlocutori anche negli altri partiti), si sia disaffezionato dal Popolo della Libertà. Ritiene probabilmente che dopo l'esperienza del governo tecnico sia poco credibile ripresentarsi agli elettori con le vecchie liturgie politiche

Sono in evidente conflitto di interessi, ma la rinuncia di Berlusconi a intervenire ieri sera a «Porta a porta« è stata un errore. Durante la notte che precedeva la registrazione di ieri mattina (prima della sua partenza per Mosca) il Cavaliere mi ha detto che i dirigenti del suo partito erano rimasti impressionati nel vederlo affiancato a Bersani nello spot che annunciava la sua presenza ieri e quella del leader del Pd mercoledì 21 marzo. Nei giorni scorsi, parlando con alcuni dei suoi, Berlusconi aveva espresso riserve sul "quid" che sarebbe mancato ad Alfano per esercitare una leadership indiscussa. La cosa - vista la riservatezza che circonda tutto quanto avviene nei pressi di Berlusconi - era naturalmente finita sui giornali destando legittimo sconcerto. Altero Matteoli, il senior al quale vengono affidate le missioni più delicate, gli aveva fatto presente che in questo modo non metteva in difficoltà soltanto il segretario, ma l'intero partito.


Ha invitato perciò il Cavaliere a rimediare, pur astenendosi da una delle sue poco credibili smentite. Berlusconi gli ha dato retta, preferendo esercitarsi in una (eccessiva e sospetta) valorizzazione delle doti - peraltro indiscutibili - di Alfano. Nella sua telefonata notturna, dunque, Berlusconi mi ha fatto presente che un suo intervento in parallelo con il segretario del Pd dopo le polemiche dei giorni scorsi avrebbe delegittimato Alfano. Ho replicato che la legge impone parità di condizioni tra esponenti - qualunque ruolo essi ricoprano - di partiti più o meno equivalenti. Avendo a disposizione due prime serate in marzo (prima dei vincoli più generali che scattano in campagna elettorale per le amministrative) abbiamo ovviamente immaginato di offrirne una a lui e una a Bersani. Perché lui e non Alfano? Perché lui - e solo lui - dopo un lunghissimo periodo di silenzio televisivo avrebbe potuto spiegare a un larghissimo pubblico le ragioni e il contesto delle sue clamorose dimissioni da Palazzo Chigi.


Altrimenti, vista la norma in vigore e la preoccupazione di non offendere il segretario del Pdl (giustamente imbufalito per la gaffe del Cavaliere), Berlusconi non potrà più apparire in televisione. Il che - restando lui sulla scena politica in un ruolo certo non irrilevante - sarebbe assurdo. Per questo la sua assenza dalla trasmissione di ieri a mio giudizio è un errore. L'episodio è rivelatore peraltro di un malessere che va chiarito al più presto. Si dice che Berlusconi, più che da Alfano (che è stimato da tutti i suoi interlocutori anche negli altri partiti), si sia disaffezionato dal Popolo della Libertà. Ritiene probabilmente che dopo l'esperienza del governo tecnico sia poco credibile ripresentarsi agli elettori con le vecchie liturgie politiche. Fosse per lui, probabilmente farebbe un nuovo "predellino".


Ma stavolta funzionerebbe meno. Berlusconi deve usare il suo residuo carisma per costruire quel Polo dei Moderati sul quale Alfano sta lavorando dal giorno del suo insediamento. E' vero che Casini fa lo schizzinoso immaginando che dopo le elezioni amministrative gli sarà più facile tentare un'opa sul PdL, ma anche per il leader del Terzo Polo le strade si restringono visto che per ora Bersani non ha nessuna intenzione di rinunciare alle alleanze a sinistra che per Casini sono indigeribili. Uscire dal guado richiede uno sforzo sia dal Fondatore che dal Segretario del PdL. Il secondo deve essere più energico, il primo deve lasciargli carta bianca. A cominciare dalla giustizia, uno dei temi critici che ieri hanno indotto Alfano a disertare l'incontro con Monti, Bersani e Casini.

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