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Giovani "mammoni"? Riflettano le famiglie

Parliamo di una polemica «inutile», come qualcuno l'ha definita su Facebook, ma sullo stesso social network e su Twitter altri hanno utilizzato parole roventi e a dir poco offensive nei confronti del premier Monti, ma anche verso due ministre (Fornero e Cancellieri) che, in qualche modo, hanno avallato le sue parole con argomenti che trovano riscontro nelle ricerche sulle tendenze dei giovani negli ultimi anni. Com'è noto il presidente del Consiglio, come aveva fatto a suo tempo il suo amico e allora ministro Padoa Schioppa, ha definito i giovani di oggi «bamboccioni» e le due ministre hanno confermato questi giudizi, con la definizione di «mammoni» e l'affermazione che troppi ragazzi si ostinano a inseguire solo l'illusione del posto fisso. In realtà queste opinioni (ma non «offese», come vengono etichettate online) andrebbero indirizzate soprattutto ai genitori: sono infatti spesso le famiglie a «raffreddare» gli entusiasmi dei giovani che, invece, sono istintivamente portati (almeno in grande maggioranza) a fuggire da casa, maschi e femmine. Del resto i dati parlano chiaro: ogni anno 50 mila ragazzi emigrano dal sud al nord (60 mila nel 2011).


Una migrazione silenziosa, che non tiene conto di quella dei lavoratori stranieri che tendono a spostarsi verso le regioni del settentrione, nell' illusione di trovare lavoro in breve tempo. C'è un altro dato che dovrebbe far riflettere, in contro tendenza con la filosofia sui «bamboccioni»: quello dell'emigrazione estera. Sono infatti sempre di più i giovani che vanno a lavorare nei paesi «forti» della Ue e negli Usa, senza contare che 30 mila persone (in gran parte giovani) si spostano ogni anno verso paesi come l'Australia. Probabilmente non basta ancora per affermare che quelle definizioni siano del tutto sbagliate, se è vero che poco meno di due milioni di giovani non cercano lavoro e non studiano: non risultano, cioè, motivati a fare alcunché, rimanendo a carico delle loro famiglie.


E tutto questo mentre in diversi settori industriali e dell'artigianato gli imprenditori (lo segnala la Cgie di Mestre) non riescono a trovare tecnici e lavoratori specializzati. Il problema dunque torna alle famiglie,con le loro scelte sulla formazione dei giovani: tutti laureati in legge, lettere, sociologia, scienze della comunicazione, invece che in ingegneria, fisica, chimica, elettronica, ecc. In sostanza sembra prevalere il motto «meglio bamboccioni laureati», piuttosto che meccanici specializzati, elettricisti, impiantisti, falegnami, panettieri, calzolai, ecc. E in questo la complicità delle famiglie c'è tutta. Forse però è necessario favorire al massimo la mobilità nel settore pubblico e il negoziato sulla riforma del mercato del lavoro dovrebbe tenerne conto. Così forse è opportuno correggere radicalmente la tendenza a realizzare sedi universitarie in ogni città, con una proliferazione che non ha più alcun senso (con costi per la collettività rilevanti e con una discutibile qualità didattica). La scelta di una facoltà lontana dal paese d'origine rappresentava sino a pochi anni un indirizzo di formazione serio, ma anche una «scelta di vita» perché costituiva per i giovani la prima prova di autonomia: una sfida, un patrimonio di esperienze che si accumulava, che serviva professionalmente e umanamente per «entrare» veramente nella vita,lontani dalla propria famiglia di origine. Ecco perché a quel tempo si contavano meno «bamboccioni» e «mammoni».

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