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I limiti dello "svuota carceri"

Il governo Monti ritiene di mettersi un fiore all'occhiello con la legge «svuota carceri» e con l'eliminazione degli ospedali psichiatrici giudiziari. Con il primo provvedimento, già approvato dal Senato, si alleggerisce il sovraffollamento delle carceri (68.000 detenuti per 45.000 posti) e con il secondo si dovrebbero chiudere definitivamente i sei ospedali psichiatrici (1400 detenuti-malati mentali) entro il 31 marzo 2013. Gli aspetti positivi sono noti, anche perché se ne parla da tempo. Un paese civile non può tenere un numero così elevato di detenuti in penitenziari, in parte fatiscenti, soprattutto quando i tempi della giustizia sono lunghissimi. Il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha denunciato più volte che i detenuti in attesa di giudizio sono 28.000 (il 42% del totale). A questo si aggiunge un costo «altrettanto grave» del recupero di efficienza degli uffici giudiziari, «un costo pagato dalla collettività, da tutti noi, se è vero che questa inefficienza quota l'1% del pil».
Parole sagge, ma come si è pensato di risolvere il problema? Semplicemente a trasferire «ai domiciliari», cioè a casa propria i detenuti che devono ancora scontare 18 mesi (sono circa 3000) e ipotizzando una «depenalizzazione» dei reati. In pratica chi commette una piccola rapina o un furto se la potrebbe cavare con una multa, come fosse una contravvenzione stradale. Del resto anche il presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha ribadito, nel suo discorso di apertura dell'anno giudiziario, che «è indispensabile un drastico sfoltimento dei reati, attraverso una incisiva depenalizzazione». Questo processo di depenalizzazione è già in atto da diversi anni, con le conseguenze sul piano della crescita della piccola criminalità che è sotto gli occhi di tutti.
Ma veramente si pensa di risolvere il problema della criminalità in questo modo? In tutti i discorsi che abbiamo sentito in questi giorni (a cominciare da quelli della Severino) non abbiano trovato alcun riferimento all'edilizia penitenziaria, anche con riferimento alle carceri già costruite ma non ancora in attività (ve ne sono sembra 33, non utilizzate per i più vari motivi, ma soprattutto per le scarse risorse finanziarie). Eppure almeno dai tempi dei ministri Castelli, Diliberto e Alfano si sono sempre pubblicizzati «piani carceri», di cui non si è più parlato. Non è il caso, visto che la popolazione è in crescita costante, pensare a un'edilizia carceraria più moderna e di dimensioni più ampie?
Un paese civile, come avviene nelle altre nazioni europee, deve farsi giudicare anche dalla condizione delle sue carceri. Non è certo con l'amnistia, l'indulto o lo svuotamento periodico dei nostri vetusti penitenziari, che si potrà risolvere un problema gravissimo e antico come questo, anche se gli amici radicali (con le loro periodiche iniziative mediatiche) la pensano diversamente. Il sovraffollamento delle carceri alla fine si riduce provvisoriamente, ma il «livello» si ripristina dopo un anno o due. E allora? Dobbiamo ricominciare da capo o pensare a misure più risolutive nel tempo?
Infine, la chiusura degli ospedali psichiatrici. Di per sé è una «scelta di civiltà», che condividiamo. Usciranno subito 600 «criminali» (assassini, killer,ecc.), ritenuti ora «non più pericolosi socialmente». Ma come si troveranno queste persone «innocue"» nella società, appena rientrate nelle loro famiglie? Quali garanzie potranno dare e soprattutto i servizi territoriali saranno in grado di assisterli e sorvegliarli? I dubbi in proposito sono molti, soprattutto se ci si riferisce alla legge Basaglia del 1978, che non ha istituito in tutte le regioni servizi di igiene mentale pubblici. Con le conseguenze che tutti conoscono, a cominciare da una lunga serie di lutti.
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