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Palermo riscopre i "Cantieri" della Zisa

Per tre giorni lo spazio culturale è tornato a rivivere grazie a dibattiti, forum e performance

PALERMO. “I Cantieri che vogliamo” è il monito che risuona ai Cantieri culturali alla Zisa di Palermo, dove prende vita CULTURA, BENE COMUNE, un fittissimo programma di incontri, dibattiti, assemblee, performance coordinati dal comitato “I Cantieri che vogliamo”. Tre giorni  (6/7/8 gennaio) di animazione pacifica e trasversale di alcuni degli spazi abbandonati ai Cantieri Culturali alla Zisa. Un gesto simbolico, una speranza di rinascita.
I Cantieri Culturali hanno una storia piuttosto travagliata e ben nota, che attraversa gli anni Novanta e la storia di questa città caratterizzandosi per la malagestione, l’incuria, il degrado, per le promesse mancate.  Spazi monumentali che sono stati a vario titolo protagonisti di amare polemiche e di irrazionale e cieca disattenzione.
“I Cantieri che vogliamo” serve a urlare un disagio, a segnare una battuta d’arresto, laddove la collettività, gli artisti, gli intellettuali, i cittadini, ma soprattutto la generazione dei trentenni, stanca di stare a guardare, vuole ripartire proprio da un luogo/simbolo. Senza polemiche, senza clamore, ma attraverso l’arte, la cultura, il dialogo.
Su tutto, la ferma volontà di non strumentalizzare e di non farsi strumentalizzare, ma solo di “riflettere” e di interrogarsi sulla domanda: a che punto é la cultura di questa città? Domanda più che mai d’obbligo in un momento nel quale, in ogni parte del Paese, sembra che nulla sia più certo dell’incerto. Lo spazio della Grande Vasca dei Cantieri si è dunque aperta al dibattito sullo stato dell’arte e del sistema culturale di Palermo, partendo dalla storia dei cantieri negli ultimi dieci anni, per arrivare a discutere anche sulla identità di costruire un Museo sul modello gestionale del Kunstverein. Molte le voci: storici dell’arte, curatori, artisti, galleristi intervenuti da tutta Italia. Molta la partecipazione.
E non solo agli incontri e ai forum, ma anche alle fasi preliminari di queste giornate che hanno visto gruppi spontanei di gente ripulire, allestire, colorare gli spazi con la sola volontà di riappropriarsi di un palcoscenico cittadino sospeso tra passato e futuro, tra ciò che poteva essere e ciò che potrebbe ancora essere.
Le risposte non saranno immediate, ma certamente è importante il fatto che qualcosa si sia mosso, come a dire che è forse arrivato il momento di cambiare, di dimostrare che la cultura non è un trastullo e tantomeno un argomento per pochi. Al contrario è un bene collettivo e prezioso, un antidoto alla superficialità e all’approssimazione che pervadono molti ambiti della società contemporanea. Ad iniziare dalle politiche per la cultura, troppo spesso grette e poco lungimiranti.
Oggi 8 gennaio, terza e ultima giornata del programma, con la stesura di un documento conclusivo e alle 13.00 l’ultima performance del collettivo “Il Museo che vogliamo” con la riproposizione davanti al padiglione del Museo d’arte contemporanea di Mettiamoci le mani, una azione simbolica per lasciare un’impronta con tutti coloro che sono stati coinvolti nei tre giorni. Nell’arco di tutta la giornata, come nei giorni precedenti, interventi creativi di musicisti di strada, attori, performer, artisti, per viali dei Cantieri.

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