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Strada in salita per l'anti-Obama

Vincere i caucus dello Iowa, primo round della interminabile corsa alla candidatura repubblicana alla Casa Bianca, per soli otto voti su 120.000 non era certo il sogno di Mitt Romney. L'ex governatore del Massachusetts, indicato dai sondaggi come l'unico uomo del suo partito in grado di battere Barack Obama a novembre, sperava in un successo più consistente, che lo proiettasse verso le primarie del New Hampshire di martedì prossimo, dove è largamente favorito, già con l'aura del potenziale vincitore. Invece, nonostante i molti soldi spesi, una organizzazione superiore e il sostegno dell'establishment repubblicano, ha raccolto praticamente lo stesso numero di consensi di Rick Santorum, un ex senatore della Pennsylvania figlio di immigrati trentini che a sorpresa è diventato il portabandiera dell'ala evangelica, conservatrice e antistatalista del partito. Terzo, e staccato di poco, è arrivato il vecchio Ron Paul, la cui ideologia isolazionista e libertaria (è perfino favorevole alla legalizzazione della droga) sembra agli antipodi delle tradizioni repubblicane, ma che ha prevalso alla grande tra i giovani. Solo in pochi casi il vincitore dei caucus dello Iowa - riunioni di 50-100 persone che discutono tra loro per ore prima di fare le loro scelte - è poi diventato presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, i loro risultati hanno sempre fornito indicazioni importanti per le fasi successive della battaglia, che avrà il suo momento clou nel supermartedì 6 marzo (16 Stati contemporaneamente al voto) e si concluderà solo il 5 giugno in California. Ieri, essi hanno praticamente eliminato dalla corsa contendenti che ancora poche settimane fa apparivano fortissimi, come il governatore del Texas Perry, la beniamina dei Tea Party Bachman e, sebbene non ancora in via definitiva, anche l'ex speaker del Congresso Gingrich. Ma, soprattutto, hanno fornito la conferma che il partito repubblicano è oggi profondamente diviso tra pragmatici e fondamentalisti, con una frangia di innovatori che - una volta uscito di scena anche l'ineleggibile Paul - finiranno col diventare l'ago della bilancia. I pragmatici, il cui obbiettivo principale è la cacciata di Obama dalla Casa Bianca, puntano su Romney, anche se per la sua fede mormone, alcune iniziative "liberal" e qualche giravolta di troppo su questioni importanti non ha credenziali impeccabili agli occhi della base. I fondamentalisti, per cui la difesa dei principi è forse più importante dei risultati e che, al di là della vittoria nelle presidenziali, puntano anche a un radicale mutamento della filosofia di governo, hanno oscillato tra vari candidati - Perry e la Bachman soprattutto - prima di fare convergere in questa occasione i loro voti sul semisconosciuto italo-americano. Il loro problema è che Santorum ha pochi fondi e una organizzazione insufficiente nei grandi Stati dove si ottengono il maggior numero di delegati e avrà difficoltà ad arrivare a fine corsa. Romney, l'avversario più temuto da Obama, resta dunque il favorito per l'investitura, ma dovrà prima superare le tensioni interne e - come scrive il New York Times - "conquistare la mente se non il cuore del partito": dovrà cioè convincere lo zoccolo duro degli evangelici e dei Tea Party che una volta conquistata la Casa Bianca terrà conto anche delle loro idee estremiste e non si sposterà troppo al centro. Ha l'intelligenza ed i mezzi per farcela, ma vista la consistenza delle opposizioni interne e i fiumi di veleno che stanno già scorrendo nella campagna, la strada per la vittoria sarà lunga e disseminata di trappole.

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