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Governo, tutti chiamati ai sacrifici

La cravatta rossa. La rivendicazione del proprio passato come alto dirigente del vecchio Pci, l'urgenza di sacrifici che alla fine «daranno i loro frutti». Toni sentiti e accorati quelli contenuti nel messaggio al Paese da parte di Giorgio Napolitano. Un invito alla mobilitazione rivolto all'intero Paese. Ma, soprattutto, allo schieramento politico nel quale il Presidente della Repubblica ha militato per decenni. Proprio la segnalazione delle proprie radici politiche è sembrato l'appello più urgente rivolto ad una sinistra e a un sindacato che, in questo momento, emergono come l'ostacolo più solido alle riforme. Autentiche forze della conservazione che osteggiano qualsiasi forma di aggiornamento della società. Il presidente della Repubblica ha condannato il partito che, tassando e spendendo, ha portato il deficit pubblico agli attuali livelli. Il riconoscimento che il dissesto dei conti dello Stato è il risultato di comportamenti collettivi. Non ci sono innocenti nell'assalto alla diligenza contenente il tesoro dello Stato. «A partire dagli anni Ottanta la spesa pubblica è andata fuori controllo» ha spiegato l'inquilino del Quirinale intendendo che a quei rubinetti hanno bevuto in tanti. Decisamente troppi. Forse tutti gli italiani, per un verso o per un altro godendo di servizi (sanità, trasporti, istruzione, welfare) dove si era perduto il rapporto fra prezzo e costi. «Lo Stato deve pensare al benessere dei cittadini dalla culla alla tomba» recitava l'inno delle socialdemocrazie occidentali. Un sogno per ricchi che le grandi crisi economiche, a cominciare dal petrolio nei primi anni '70, hanno progressivamente demolito. Fino alla resa dei conti attuale. Oggi servono sacrifici dice Napolitano «che non saranno certamente inutili». Servono riforme radicali. Non solo le pensioni. «Ma la ricerca di nuove forme di sicurezza sociale». Occorre «ripensare e rinnovare le politiche sociali», certamente senza rinunciare al modello europeo e senza intaccare dignità e diritti del lavoro, ma accettando di rivedere il modo di concepire e distribuire il benessere. Insomma per il Capo dello Stato non ci sono più aree di privilegio. Al risanamento siamo chiamati a partecipare tutti. Non si può chiedere che siano solo alcune fasce sociali a farsene carico mentre altri stanno a guardare. Non a caso nei giorni scorsi aveva fatto appello anche ai ceti meno abbienti perché si impegnassero anche loro con senso di responsabilità. Certo in proporzione alle proprie capacità e possibilità. Ma senza diserzioni. Stesso discorso per i sindacati. «Perché i sacrifici servono ad assicurare il futuro dei nostri figli». E allora qual è il senso dell'articolo 18 che invece, con la sua rigidità, contribuisce in maniera decisiva al precariato dei giovani. Mentre tutto il Paese è chiamato a donare l'oro alla patria per evitare il collasso ha ancora senso tenere la fascia più protetta del mondo del lavoro in una zona franca nella quale la parola sacrificio non viene declinata? È davvero ammissibile che, alla fine, siano solo i pensionati e i pensionandi a dover pagare il prezzo più alto ala dittatura dello "spread"? Il concetto di equità presuppone anche la condivisione dei pesi e delle misure.

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