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Scontri a Roma, i siciliani: "I violenti prepararti alla guerriglia"

"Ci hanno rubato il diritto di manifestare". Questo il pensiero di chi è partito dall'Isola verso la capitale nei confronti di chi è partito col solo scopo di creare disordini

PALERMO. Dalla Sicilia sono partiti in tanti: tre pullman da Palermo, tre da Messina, due da Catania. Ragazzi dei centri sociali, dei movimenti, della Sel, di Prc, oppure ognuno per conto suo. Ma tutti sotto le bandiere degli «indignati buoni», quelli che oggi accusano i violenti di avergli rubato la piazza. «Il movimento - dice Luigi Sturniolo dei "No Ponte" di Messina - dovrà riflettere a lungo su quanto accaduto ma la scelta non può essere solo tra il manganello e la bottiglia molotov».
Il racconto dei ragazzi siciliani è univoco. Parlano del grande corteo formatosi in via Cavour, dei «black bloc» che ne hanno espugnato la testa a piazza San Giovanni dando inizio a tre ore di scontri furibondi. Siciliani anche tra i violenti? Qualcuno certamente, a dare ascolto al tam tam dei social network. Su Facebook una ragazza palermitana racconta di un suo amico partito per Roma «attrezzato meglio di un soldato». Alberto Antinoro, 32 anni, precario, è partito da solo. Non appartiene, cioè ad alcuna organizzazione. «Ho preso il treno per andare al corteo e anche per andare a trovare mia sorella che vive a Roma. Al corteo è venuta anche lei. Sbaglia chi pensa che gli "indignati" sono solo ragazzini. C'era un popolo: ragazzi, adulti, anziani. All'inizio erano tutti contenti, cantavano, ballavano, maschere colorate, musica. Poi, all'improvviso è scoppiato il finimondo». Chiara Leone, palermitana ventinovenne che vive da qualche mese nella Capitale, racconta: «Quando sono cominciati gli scontri mi trovavo dietro il carro dei Cobas che ci ha protetto per un po', poi ha fatto inversione e noi ci siamo ritrovati in piazza San Giovanni, le spalle alla basilica, con le mani alzate mentre le camionette sfrecciavano nella piazza che sembrava già un campo di battaglia. Tutti confusi: noi e i poliziotti, poverini. Molta gente del corteo era con loro. Ho visto una donna anziana afferrare per la collottola uno dei violenti che stava distruggendo un distributore di benzina».
«Che frustrazione - dice Floriano Franzetti, 36 anni, agente immobiliare ma anche regista e sceneggiatore - È come se fossimo stati espropriati del diritto di protestare. Sabato c'era gente per strada in 92 città del mondo ma solo qui in Italia è finita così». E Tonino Cafeo, freelance messinese di 42 anni, dice: «I violenti erano organizzati, si sono mossi con una strategia precisa anche se erano tutti molto giovani, diciamo attorno a vent'anni. Adesso io non voglio fare dietrologia ma chi va a un corteo col casco, il bastone e la maschera antigas non ci va per urlare slogan». Luigi Sturniolo però dice di non credere alla teoria dell'infiltrazione. «Io ero a San Giovanni - dice - loro erano due, tre mila. Altro che infiltrati. E nel corso degli scontri hanno attratto pure qualche centinaio di quelli che stavano nel corteo pacifico. Ecco perché dico che bisogna stare molto attenti, che su questi avvenimenti bisogna riflettere. È giusto che la protesta sia pacifica, è sacrosanto isolare i violenti che sfogano solo le frustrazioni accumulate nelle immense periferie del paese. E se queste azioni non possono essere giustificate è anche giusto che la protesta e la rabbia siano visibili. Un corteo di indignati non è una guerra. Ma neanche una passeggiata». E Marisa Lumia, 31 anni, tecnica precaria in un comune della provincia di Palermo, racconta: «Era bello gridare "non pagheremo i vostri debiti". Ma mi hanno detto: stai zitta. E a dirmelo non era né un ministro né un banchiere ma un giovane come me, con un casco e una maschera antigas».

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