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Se crolla Atene poi tocca a Roma

È inutile girare intorno alle parole. Il bersaglio grosso cui stanno puntando i bracconieri dei mercati è il nostro Paese. Due manovre in estate. Si parla della terza entro fine anno. Ancora sacrifici per il Paese. E una classe dirigente che guarda solo alle elezioni

Ancora una giornata di passione sui mercati internazionali. Quotazioni di Borsa in caduta libera. Milano che perde il 4,5%: dall'8 luglio, data d'inizio di questa estate da incubo ha lasciato per strada cento miliardi. Il differenziale tra il Btp e il bund supera di slancio la soglia dei quattrocento punti.
Una situazione di emergenza che imporrebbe una risposta adeguata da parte della politica. E invece assistiamo al solito teatrino delle comari che litigano furiosamente.
L'opposizione che, come un disco rotto, chiede le dimissioni del governo. La maggioranza ormai spaccata in mille individualismi sembra una zattera di naufraghi impegnati solo nella propria sopravvivenza. Esattamente quello che aspetta la speculazione per continuare i suoi attacchi. Perché è inutile girare intorno alle parole. Il bersaglio grosso cui stanno puntando i bracconieri dei mercati siamo noi. Atene è l'antipasto. Il banchetto è a Roma.
Basta fare due conti. La Grecia è un'economia piccola, il debito pubblico è di 300 miliardi, non ha grandi imprese e le uniche attività degne di nota riguardano il turismo e l'industria dei noleggi marittimi. Un peso piuma per l'Europa. Un granello per l'economia mondiale nella quale pesa con una percentuale da prefisso telefonico. Tuttavia è il grimaldello per arrivare all'Italia. Se salta Atene il giorno successivo tocca a Roma e, a quel punto all'euro. Non c'è presunzione, purtroppo, nell'affermare che, in questo momento, per un disgraziato intreccio dei destini la Città eterna torna a essere la capitale del mondo.
La Grecia può anche essere salvata perché è piccola. L'Italia no perché è troppo grossa. E se salta l'Italia subito dopo salta l'euro disintegrando l'economia europea e, subito dopo, quella internazionale. Non saranno certo Cina, Brasile e India a sostituire l'Europa in caduta libera. Gli Stati Uniti hanno altro cui pensare.
Un precipizio attorno al quale danzano un numero allarmante di apprendisti stregoni. Tutti impegnati a guardare il proprio ombelico senza uno sguardo d'insieme. Primi fra tutti i nostri politici che, più di tutti gli altri, sono alambiccati sui loro piccoli calcoli di bottega. Servirebbe uno scatto di orgoglio. Un momento di grande coesione come quello invano chiesto da Napoletano. Invece si vedono solo rotture e divisioni. Indecisionismo e caduta di credibilità internazionale.
Così sono gli altri a imporci comportamenti congrui ben consapevoli che il bastione della finanza italiana non può cadere. La Bce, il Fondo Monetario, l'Ocse, ma anche Francia e Germania che impongono il ritmo del risanamento. Due manovre a in estate di cui una dettata direttamente dalla Bce. Già si parla della terza entro fine anno. Ancora sacrifici per il Paese. E una classe dirigente il cui unico sguardo al futuro si ferma alla data delle elezioni. Con il rischio dell'esplosione dell'antipolitica.

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