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Manovra, aumenta l'Iva e scendono i consumi

Quando la casa brucia anche un secchio d'acqua sporca diventa utile per spegnere l'incendio. Ed è più o meno quello che sta accadendo in queste ore con la manovra di risanamento dei conti. Il governo è costretto a continue correzioni di rotta che portano a smentire le affermazioni fatte il giorno prima. Prima si è rimangiato il contributo di solidarietà salvo poi resuscitarlo solo per i redditi superiori. Poi le pensioni. Ieri l'annuncio della fiducia che, un mese fa, al momento della presentazione del testo era stata tassativamente esclusa «per lasciare libertà al Parlamento».
Per non parlare della diserzione più grave rispetto alle promesse. «Non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani» avevano annunciato ripetutamente Berlusconi e Tremonti. Ieri la clamorosa smentita. Dopo infiniti mal di pancia è stato varato l'aumento di un punto dell'Iva. Il gettito previsto, intorno ai sei miliardi, dovrebbe finalmente consentire la quadratura del cerchio. Ma determinerà anche il cambiamento radicale del profilo d'intervento. Gran parte dell'aggiustamento si sposta sull'aumento delle entrate. Gli effetti depressivi sulla manovra sono di tutta evidenza. L'aumento dell'Iva farà salire i prezzi e scendere i consumi. Proprio nel momento in cui l'economia avrebbe bisogno di una frustata per dare forza alla ripresa arriva la museruola.
Le previsioni per il Pil 2011 sono in forte calo. Prima della manovra era già previsto che avremmo finito l'anno con un incremento frazionale. Adesso è facile immaginare una bella piallata su quel poco di vivacità che c'era nel mondo della produzione. Né bastano le buone notizie sul fronte delle esportazioni. Questi successi riguardano le aziende aperte ai mercati internazionali. Vuol dire una frazione del settore industriale che già rappresenta una quota non certo maggioritario del Pil italiano. Anche qui, comunque, abbondano le cattive notizie. L'aumento dell'Iva, infatti, renderà le esportazioni italiani meno competitive con quelle di altri Paesi che hanno una tassazione inferiore.
In realtà la manovra giusta era quella che riguardava le pensioni. È rimasto solo un piccolo ritocco sull'età delle donne che lavorano nel settore privato. Il calcolo della scaletta che doveva portare ai 65 anni inizialmente previsto al 2016 è stato anticipato al 2014. Considerando che nella manovra di luglio era fissata al 2020 c'è già un bel passo avanti. Tuttavia è l'unico. Il fuoco di sbarramento della Lega ha funzionato. Tranne che per questa piccola smagliatura.
In realtà la manovra poteva essere ancora più efficace. Il taglio radicale degli assegni di anzianità avrebbe ottenuto risultati ben più incisivi. Intanto perché avrebbe reso l'Italia simile agli altri Paesi europei così come chiesto da Trichet e Draghi nella lettera di agosto. Inoltre non avrebbe avuto effetti depressivi sull'economia. Allontanare l'età della pensione non avrebbe diminuito la capacità di consumo. Una bella differenza rispetto all'effetto depressivo provocato dall'aumento delle tasse. In gioco entravano solo le aspettative. Ma la capacità di spesa non sarebbe stata intaccata. Viceversa il risparmio per lo Stato sarebbe stato importante. Abolire le uscite anticipate avrebbe consentito un risparmio di tre miliardi che sarebbero diventati 6,5 portando immediatamente l'età pensionabile delle donne a 65 anni. Un ricavato paragonabile al gettito della nuova Iva. Senza, però, deprimere i consumi.

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