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Economia in crisi, ma lo sono anche i leader

La crisi globale azzanna i governanti con particolare determinazione e ne appanna la leadership al di là dei dati meramente economici. La congiuntura diventa così un potente fattore di instabilità. Ed è per questo che quella che gli esperti di borsa chiamano speculazione si concentra di volta in volta sui Paesi i cui sistemi politici appaiono più fragili. Accade in tutto il mondo.
Zapatero il premier che veniva considerato una novità e un esempio per tutti i Paese dell’Unione, colpito dalla crisi economica spagnola, sta per scomparire dalla scena politica nel silenzio dei suoi sostenitori.
Nicolas Sarkozy ha avuto le sue grane per l’innalzamento dell’età della pensione e per il disagio sociale manifestato con gli incendi nelle Banlieu. Il piano anticrisi all’esame del Parlamento francese sta vivendo una sorte anologa a quello italiano: rifacimenti continui e polemiche. I sondaggi lo danno decisamente in calo rispetto ai candidati socialisti per le elezioni del 2012.
Anche Angela Merkel in Germania ha perso punti nella tempesta finanziaria che colpisce l’Europa. Il super anno elettorale è stato finora catastrofico per la Cdu, che ha perso tutte e sei le elezioni regionali. E rischia il prossimo 18 settembre di perdere di nuovo anche nel Land di Berlino.
Persino Obama, presidente degli Stati Uniti, ovvero la prima potenza del mondo, vede appannarsi il suo prestigio: il declassamento per il bilancio in passivo, la borsa che non risale e banche che traballano. Secondo il sondaggio realizzato da Wall Street Journal e Nbc, il numero degli americani che approva l'operato del presidente è sceso al 44%.
Non è migliore la situazione economica in Italia e le voci che si sono succedute sui contenuti della manovra hanno aumentato confusione e preoccupazione. Il centrodestra ha risentito della prima stesura di un contributo di solidarietà ha carico dei contribuenti con 90.000 euro di reddito annuo lordo.
Si tratta di una categoria di presunti ricchi – che poi ricchi non sono - che costituisce quel ceto medio che è il nerbo di tutti gli stati moderni ed è questa categoria che il governo Prodi ha azzannato con particolare ferocia. Gli elettori di centrodestra non hanno gradito che il governo Berlusconi si proponesse sia pure per ipotesi di seguire le orme del Professore.
D’altra parte sulla sinistra ricade la responsabilità di un’opposizione dura e piazzaiola alla legge sullo «scalone» che avrebbe riportato equilibrio e qualche avanzo in materia di pensioni. Il Partito democratico ha sempre fatto ricorso alla politica del «muro contro muro» rendendo impossibile qualsiasi dialogo sulle riforme economiche.
E anche adesso quando il tempo e la crisi premono non c’è nessuna collaborazione vera fra i due schieramenti per misure atte a fronteggiare le difficoltà della congiuntura. Se il sistema italiano appare in questo momento particolarmente fragile ciò si deve proprio a questa distorsione dei rapporti politici fra uno schieramento e l’altro. Il dibattito e le critiche sulla manovra ne sono una prova esauriente. Il ceto politico, e segnatamente la sinistra hanno la maggiore responsabilità per questo stato di cose. Proprio quando ci sarebbe bisogno di coesione – come a più volte ricordato il presidente Napolitano – per perseguire gli interessi generali e per venire incontro alle domande dei cittadini, che si fanno più pressanti proprio nei tempi grami.

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