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Amat, un prestito per pagare i dipendenti

L'azienda vanta un credito nei confronti del Comune e al momento non può versare gli stipendi agli impiegati. Il presidente pronto a ricorrere a Banca Nuova

PALERMO. Qualche sigla sindacale ha già proclamato lo stato di agitazione; i confederali sono attendisti. E dal Comune, al momento, non arrivano buone notizie. L’Amat è ancora senza soldi per pagare gli stipendi. E il clima all’interno dell’azienda di trasporto è carico di tensione e di preoccupazione.
A proclamare lo stato di agitazione sono stati i Cobas, l’Orsa, la Cisal e l’Ugl. Nei momenti migliori, a fine mese, i circa 1.900 dipendenti dell’Amat si trovavano gli stipendi sui propri conti correnti bancari. Ad oggi, 5 maggio, dei soldi neanche l’ombra. Il Comune insegue i 55 milioni che lo Stato destina agli Lsu per poter pagare l’Amat. C’è un rincorrersi tra ragioniere generale, capo di gabinetto e sindaco per sollecitare l’accredito di queste somme che negli altri anni, dicono i più informati, già a marzo erano nelle casse del Comune. Per l’Amat mancano all’appello circa 4 milioni per gli stipendi e due milioni per i fornitori.
Mario Bellavista, il presidente dell’Amat, è preoccupato e arrabbiato allo stesso tempo. Se non arrivano notizie da Palazzo delle Aquile ricorrerà alla linea di credito che gli ha concesso Banca Nuova a cui è affidata la tesoreria dell’azienda dopo una sequela di gare andate a vuoto. «È chiaro - dice Bellavista - che nessuno ci farà sconti. Andremo a pagare gli interessi di quest’ulteriore richiesta di denaro per far fronte agli stipendi. Ed in ogni caso la situazione è gravissima. Non capisco perché i ritardi e le difficoltà di liquidità debbano essere scaricati sui dipendenti dell’Amat - dice con tono polemico -. In altre occasioni si trovano soluzione estreme, qui davanti a gente che lavora ci sono intoppi e difficoltà». I sindacati per ora non parlano.
Dai confederali la decisione di non fare nulla e attendere qualche buona notizia. «Anche perché - dice qualcuno di loro - un’eventuale azione di protesta che sfoci in uno sciopero potrebbe solo rendere più difficile il quadro e privare i lavoratori di un ulteriore giorno di retibuizione. Sarebbe il rimedio peggiore del male».

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