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L'incertezza delle rivoluzioni

Le rivoluzioni hanno da sempre una caratteristica: si sa come cominciano, ma non si sa dove vanno ad approdare. Come i francesi che presero la Bastiglia nel 1789 non si sarebbero mai immaginati di finire, nel giro di pochi anni, governati da Napoleone, o i russi che assaltarono il Palazzo d'inverno nel 1917 di diventare sudditi del primo Stato comunista, così i giovani arabi che sono scesi in piazza dall'Atlantico al Golfo, rovesciando già due dittatori e apprestandosi a eliminarne un terzo, non possono sapere - oggi come oggi - in che cosa sfocerà la loro rivolta.


In Egitto, in Tunisia e in Libia l'Occidente ha ormai sposato apertamente la loro causa, nella speranza (ma certo non la certezza) che nei tre Paesi arrivi presto una forma di democrazia. Nello Yemen, in Giordania e soprattutto nel Bahrein, retti da governi amici dell'America, è molto più prudente, perché si rende conto che una vittoria dei rivoltosi potrebbe rivelarsi gravemente pregiudizievole per i suoi interessi, dando spazio all'estremismo islamista e rafforzando la posizione dell'Iran. Il sospetto che il regime degli ayatollah contribuisca, sotto sotto, a soffiare sul fuoco mentre reprime spietatamente il dissenso in casa propria, è avvalorato dal fatto che i Paesi arabi amici di Teheran, cioè la Siria, il Qatar di AlJazeera, il Libano ormai egemonizzato da Hezbollah e la striscia di Gaza siano stati finora immuni da qualsiasi protesta. Certo, gli eventi dell'ultimo mese stanno aiutando la politica estera iraniana a conseguire i suoi principali obbiettivi, cioè isolare e indebolire l'Arabia saudita e rendere sempre più precaria la posizione di Israele. Non per nulla re Abdullah è stato da un lato il principale fautore della repressione, e dall'altro ha ritenuto prudente attingere al suo tesoro per concedere alla popolazione saudita sussidi per 17 miliardi di Euro.



A mano a mano che passano i giorni, cresce anche il dubbio che, dopo il sacrificio di tante vite, i giovani egiziani e tunisini riescano davvero a realizzare i loro sogni . Per ora il potere resta nelle mani di esponenti del vecchio regime, i primi ministri Shafiq e Ghannouchi (che peraltro ieri a detto di dimettersi) e la transizione alla democrazia segna il passo. Infatti, in entrambi i Paesi i dimostranti hanno ricominciato a scendere in piazza e ci sono stati di nuovo morti e feriti. Viene in mente la famosa frase di Tomasi di Lampedusa: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". Ancora più carichi di incognite sono gli sviluppi in Libia, dove le vittime si contano ormai a migliaia: se anche Gheddafi dovesse cadere o riparare in esilio, e il governo provvisorio nato ieri a Bengasi riuscisse a farsi riconoscere, si prospetta un periodo di caos e di anarchia in attesa che emerga una nuova leadership; se invece il colonnello, arroccato nella capitale, dovesse riuscire resistere, avremmo davvero quella guerra civile senza quartiere che egli ha più volte minacciato e la possibilità che la Libia si trasformi in una specie di Somalia sul Mediterraneo diventerebbero reali. Per questo, la comunità internazionale si è mobilitata con insolita rapidità, ma le sanzioni finora decise dal Consiglio di Sicurezza e la minaccia di tradurre Gheddafi e i suoi accoliti davanti al Tribunale internazionale dell'Aja non produrranno effetti immediati.



È dunque presto per dire chi ha vinto e chi ha perso, perché la rivoluzione è in divenire e sicuramente non ha ancora toccato tutti i punti caldi. Ma almeno un perdente c'è già, ed è la ripresa economica. Gli esperti ci hanno spiegato come il mondo possa - per il momento - fare a meno del petrolio e del gas libici, che oltre all'Italia interessano pochi Paesi, ma sono tutti d'accordo che un aumento prolungato dei prezzi, dovuto non tanto alla scarsità di greggio, quanto alla paura che i disordini possano investire anche i grandi produttori del Golfo ritarderebbe seriamente l'uscita di Stati Uniti ed Europa dalla crisi. Se per esempio anche gli sciiti dell'Arabia saudita, contagiati dai "fratelli" del Bahrein, cominciassero a scendere in piazza, le ripercussioni sui mercati sarebbero incalcolabili.

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