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Se Wall Street si mette a parlare tedesco

È solo una coincidenza, certo. Ma nelle stesse ore in cui Obama parla chiaro sui problemi dell'economia americana, Wall Street, come se fosse ammutolita, si mette a parlare tedesco. Agli accenti churchilliani del presidente fa da contrappunto il linguaggio pratico, tranquillo, quasi incoraggiante dei responsabili del più grande mercato finanziario del mondo: sì, è vero, Wall Street è in vendita. Anzi, ha già trovato un acquirente. Viene da Francoforte, si chiama, sobriamente, Deutsche Borse, ma la parola germanica che viene subito alla mente per esprimere l'operazione è Mauerstrasse, Via del Muro, che è la traduzione esatta di Wall Street ma che in tedesco ricorda anche un altro Muro, quello di Berlino. Ne è, anzi, oltre che con un contrappunto, un'antitesi storica, con qualche sottaciuto accento di rivincita. Lo fa suo il quotidiano popolare New York Post con un titolo che è un urlo: «Achtung! I tedeschi occupano Wall Street». Alla sua maniera, il portavoce del New York Stock Exchange «ridimensiona», sembra smentire: «Non abbiamo venduto ai tedeschi. Abbiamo colto l'occasione per creare un mercato globale in un settore in cui operare diventa sempre più difficile». Non l'hanno venduto. Quasi. Solo il 60 per cento delle azioni, per 20 miliardi di dollari. Gli uffici della direzione verranno spartiti fra New York e Francoforte e nella città tedesca risiederà il presidente, dal cognome non esattamente teutonico: Francioni. La spiegazione è che gli affari si fanno sempre meno nei luoghi delegati e sempre di più via Internet. È probabilmente vero ma Wall Street, almeno per chi non ci «gioca», è qualcosa di più di un luogo in cui si comprano e si vendono pezzi di carta: è un mito, è il Vaticano del capitalismo finanziario. Pochi altri luoghi al mondo si prestano tanto, per esempio, alla Leggenda Nera. 
Già nel nostro tempo sofisticato ma ben prima del «terremoto» e dell'incubo in corso un regista, Oliver Stone, ci aveva ambientato un drammone di tipo ottocentesco, gonfio di peccato ma con qualche accenno di redenzione e aveva chiamato il film semplicemente Wall Street. L'«istituzione» riassume due secoli di scommesse e trionfi, truffe e disperazioni. Anche perché Wall Street è a New York e New York fornisce i cornicioni dei grattacieli, trampolini per i salti suicidi dei finanzieri sfortunati al tempo della Grande Depressione.
Tendiamo un po' tutti, in realtà a fare di Wall Street una cosa sola con New York. Così nel mito diventa plausibile che la prima «patacca» finanziaria sia stata rifilata ante litteram al capo pellerossa che avrebbe venduto Manhattan per 25 fiorini in perline di vetro; solo che era un magliaro: l'isola non era sua e gli olandesi dovettero prendersela con la forza, «eliminando» gli indigeni che si ostinavano a non capire che in quel momento il mercato non era «toro» ma «orso» e dunque conveniva vendere. Per difendere il bottino i conquistatori eressero un muro, che diede il nome a una via, anzi a un vicolaccio lungo e stretto. Era il 1753. Poco dopo gli inglesi rubarono il posto agli olandesi, poi toccò agli americani imporre una «acquisizione ostile» ed erigere l'arena per tante battaglie future. La chiamarono Stock Exchange. Correva il 1792, l'Europa era inquieta. In Francia, per esempio, cadevano le teste sotto la ghigliottina e precipitavano i corsi dei titoli di Stato e cresceva la voglia di emigrare. Perfino Talleyrand per un poco mollò tutto a Parigi e cercò scampo e fortuna nel Nuovo Mondo. Lo scampo lo trovò, la ricchezza no e tornò a casa con le tasche vuote.
Wall Street toccò il culmine del suo prestigio negli anni Venti. Nessuno dubitava che i suoi Principi, i suoi Scrooge, insomma i suoi Paperoni fossero le persone non soltanto più autorevoli ma anche più sagge. L'idolo dell'epoca si chiamava Morgan, la dinastia Morgan. Giovani ambiziosi arrivavano da tutta l'America e l'Europa a lavorarci nella speranza di fare fortuna. Fino a quando venne la Grande Caduta del 1929. Anche allora qualcuno pensò a un declino «irreversibile», di Wall Street e del capitalismo. Non avevano visto ancora niente. Tornò il tempo dei Morgan, altrettanto spregiudicati e non meno avidi: decine di migliaia di giovani ambiziosi, che spesso costruivano le fortune su delle demolizioni. I grattacieli di Wall Street sono diventati così la silhouette e il logo del nuovo secolo. Due sono crollati nel primo Settembre Nero, quello del 2001; altri nove o dieci, contò e scrisse Newsweek, hanno «sfasciato il mondo», ma sono rimasti in piedi. Si raccolgono in meno di cinque miglia di Manhattan, si leggono come un elenco di battaglie, ci sono dentro almeno tre Morgan. Sono le pietre del «muro» di New York. Non sono coinvolti nella vendita se non come sfondo e magari allegoria. Fino a poco tempo fa costruire dei nuovi grattacieli era considerata una delle misure più potenti per tirare fuori New York e l'America dalle recessioni. Adesso lo si esclude perché costerebbe troppo.
E poi dal vero non ce n'è più bisogno, tanto si fa tutto col computer. Per il momento, dunque, non è prevista una visita a Manhattan di Angela Merkel. Non dirà, come Reagan, «Butta giù quel muro» ma neppure, come Kennedy, «Ich bin eine Newyorkerin», «Sono una newyorkese».

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