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L'ira di Fini: "Abbandoni Fli per potere economico di Berlusconi"

L'ira del presidente della Camera sul premier. Il suo partito si spacca al Senato, Pontone torna nel Pdl. Guzzanti entra nel gruppo dei responsabili. Con l'uscita di Giuseppe Menardi, Fli al Senato non può più formare un gruppo

ROMA. Esplode a sera l'ira di Gianfranco Fini e spazza via tatticismi, minacce e imprecazioni, rimpianti e lamenti di un partito che si contorce, a quattro giorni dal suo malriuscito battesimo. A Fini non importa se Fli avrà ancora un gruppo al Senato, quanti futuristi se ne andranno alla Camera e dove. Non gli interessa se in virtù delle "tante armi seduttive di cui gode chi governa e dispone di un potere mediatico e finanziario che è prudente non avversare direttamente" il Titanic del berlusconismo farà ancora qualche metro, dopo aver già centrato l'iceberg. Dopo aver sopportato per giorni, il leader Fli scrive al 'Secolo' per dire che lui guarda fuori e non dentro al Palazzo. E scaglia il suo anatema contro chi "vista l'aria che tira nel Palazzo", sta magari pensando di andare ad "allargare la fragile maggioranza" del Cavaliere. Cosa del tutto "verosimile", giacché "la difficoltà di Fli e la ritrovata baldanza dei gerarchi del Pdl sono tutti fenomeni interni al ceto politico, sentimenti di chi teme per il proprio status di ministro o di parlamentare o di chi aspira a divenire sindaco, assessore, o per lo meno consigliere comunale". Giochi di palazzo, insomma.      

 

"Nella società il clima è diverso - guarda altrove Fini - c'é preoccupazione per la situazione economico-sociale, indignazione per il degrado in primo luogo morale che caratterizza lo scontro politico, sbigottimento per l'immagine negativa che le note vicende danno dell'Italia nel mondo, angoscia per il futuro dei più giovani". C'é insomma "un'Italia tutt'altro che apatica e rassegnata", "largamente maggioritaria nel Paese reale, quanto minoritaria nell'attuale Parlamento"; "un'Italia moderata che ha votato centrodestra e che non si rassegna a vedere traditi o dimenticati i propri convincimenti e ideali". E' su quell'Italia che Fini torna a lanciare la sua opa, come già aveva fatto a Mirabello e poi ancora a Bastia Umbra e a Milano.    

 

Unità della nazione, rispetto delle istituzioni, della magistratura, senso dello Stato, primato della legge senza impunità, meritocrazia, tutela delle minoranze, centralità del lavoro, libero mercato, vera volontà riformatrice: sono i valori di Fli ribaditi a Milano. "Anche dai dissidenti del giorno dopo", rimarca sprezzante Fini. "Ci riconosciamo e intendiamo agire nell'ambito dei valori e della cultura politica del centrodestra, senza alcuna ambiguità, né tanto meno senza derive estremiste o sinistrorse", ribadisce la linea politica a suo dire già chiara.  Il suo è un progetto ambizioso, che attraversa un "momento difficile", che "va spiegato agli elettori più che agli eletti", che deve mettere le radici nella società e non nel Palazzo, "senza preoccuparsi di organigrammi". Ecco la risposta di Fini ai senatori capeggiati da Viespoli che - dopo l'addio di Giuseppe Menardi e Francesco Pontone e lo sfaldamento del gruppo Fli - fanno sapere di essere in pausa di riflessione fino a martedì. Ecco la replica alla rabbia di Adolfo Urso, alle rimostranze di Barbara Contini, al silenzio critico di Andrea Ronchi, agli annunci di possibili diverse scelte dei Patarino, Bellotti, Saia e alla notizia del deputato Roberto Rosso che torna nel Pdl dal quale era venuto.     

 

A Luca Barbareschi Fini ha già dato del "pagliaccio". E con una smorfia replica ai suoi, che vanno a raccontargli di colloqui in corso (Bocchino ha cercato di 'recuperare' con Urso, e altrettanto ha fatto Menia) con i 'dissidenti'. "Sappiate che se me li portate glielo dico chiaro: il progetto è questo, chi non ci crede si accomodi". "Solo quando si apriranno le urne, accada tra poche settimane o tra due anni, sapremo se avremo vinto la nostra battaglia", chiosa poi Fini sul 'Secolo'.

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