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Regione, un tetto ai compensi dei portaborse

Lo ha deciso il consiglio di presidenza dell’Ars. Il provvedimento riguarda i 78 dipendenti dei gruppi parlamentari

PALERMO. Un tetto alle retribuzioni dei portaborse stabilizzati all’Ars. Lo ha deciso ieri il consiglio di presidenza dell’Assemblea regionale. Ma il caso dello stipendio dei 78 dipendenti dei gruppi non è affatto risolto e porta con sè minacce di licenziamento a chi non accetta una decurtazione della busta paga. Mentre il Pid sarà costretto a chiedere un prestito da 410 mila euro per coprire il buco maturato negli anni scorsi a causa di maxicompensi che superavano i finanziamenti concessi dall’Ars per ciascun dipendente.
Il consiglio di presidenza ha deciso che i dipendenti dei gruppi avranno un tetto di stipendio parametrato sull’anzianità di servizio. Chi ha fino a 15 anni di servizio non potrà superare i 43.700 euro lordi all’anno. Per tutti gli altri si prosegue così: 53.700 euro per chi ha più di 15 anni di servizio, 58 mila per chi ha fra 15 e 20 anni. E ancora, per chi ha da 20 a 25 anni di anzianità lo stipendio massimo è di 63 mila euro. Si sale a 68 mila per chi ha da 25 a 30 anni di servizio e a 70 mila per chi arriva a 35 anni.
Il principio è che il contratto dei dipendenti dei gruppi scade alla chiusura di ogni legislatura e va ricontrattato ogni volta che si cambia gruppo. In pratica, i dipendenti perdono i benefit maturati negli anni per concessione dei vari capigruppo (possibilità offerta dal contratto atipico in vigore all’Ars): benefit che possono far crescere lo stipendio fino a oltre 7 mila euro al mese, come denunciò il presidente dell’Ars Francesco Cascio. La delibera firmata ieri in consiglio di presidenza prevede livelli di retribuzione standard che sarebbero tutti compensati dai trasferimenti ordinari che l’Ars fa a ogni deputato (in aggiunta allo stipendio da onorevole) per pagare il personale. Se un capogruppo vuole premiare alcuni dipendenti, mantenendo i benefit, dovrà mettere mano a risorse proprie del partito.
Problema risolto? No. I dipendenti sono in agitazione. Soprattutto quelli del gruppo Forza del Sud. Il capogruppo Cateno De Luca ha proposto ai 5 dipendenti stabilizzati di accettare un contratto da co.co.pro che vale dai 15 mila ai 45 mila euro all’anno in meno (e offre meno garanzie contributive). I cinque non hanno accettato. E De Luca ha scritto a Cascio sostenendo che il gruppo può fare a mano di questi cinque dipendenti rinunciando anche ai contributi che l’Ars concede per pagarli (45 mila euro a deputato più una quota fissa al gruppo). De Luca ha scritto nella lettera che «se il contratto da co.co.pro. non verrà accettato allontaneremo dai nostri locali chi vi si trova di fatto abusivamente». FdS ha, tra l’altro, messo sotto contratto (sempre come co.co.pro) 5 esterni: «E dunque - conclude De Luca - non possiamo pagare in modo diverso dipendenti che fanno lo stesso lavoro».
Il caso-dipendenti era esploso a ottobre quando, dopo la scissione fra Udc e Pid, era rimasto un buco da 500 mila euro frutto dei maxi contratti. La maggior parte del debito è stata ereditata ufficialmente dal Pid e ammonta oggi a 410 mila euro. Per pagarlo è da ieri sul tavolo del consiglio di presidenza una delibera che assegna un prestito da 410 mila euro da restituire in 27 rate (che costano 800 euro al mese di interessi). Le rate andrebbero pagate con trattenute che l’Ars fa direttamente sulle buste paga dei 7 parlamentari del Pid, che avrebbero dovuto firmare una nota di accettazione. Ma di firme, ieri, su quel foglio non ce n’era nessuna. E l’operazione non è stata perfezionata. Mentre il debito cresce di mese in mese.

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