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Jintao-Obama, una coppia improbabile nei destini del mondo

Hu Jintao e Barack Obama. Una coppia improbabile chiamata, anzi costretta, a lasciare una traccia profonda nei destini del mondo. Non è la prima volta che si vedono, ma l'appuntamento a Washington di oggi 18 gennaio potrebbe essere il più importante dopo lo storico viaggio di Nixon e Kissinger a Pechino quasi quarant'anni fa. Molto è cambiato, anzi quasi tutto, da allora ad oggi. Adesso si tratta di stilare due bilanci: uno consuntivo, per giudicare quanto è stato fatto: uno preventivo, per valutare i pro e i contro di continuare su quella strada, mettendo a confronto le promesse e le minacce che un futuro a due contiene, le occasioni di tensioni e di scontri e l'interesse comune a lungo termine.
Rispetto ai più recenti vertici tra Washington e Pechino, il compito si presenta più difficile, l'atmosfera si è in più di un aspetto raffreddata. L'ultimo episodio è uno "sgarbo": il colloquio preparatorio fra Hu e il ministro della Difesa americano Gates è stato "deturpato" dall'annuncio degli Stati Maggiori cinesi del primo test del prototipo di un aereo che segna un rilancio "qualitativo" della preparazione militare di Pechino. Dettaglio particolarmente irritante, né l'ospite americano né il leader cinese erano stati, a quanto pare, informati. È quanto basta per acuire in America la diffidenza verso la controparte, rianimare i "falchi" in Congresso, indebolire il presidente. Le relazioni sino-americane sono, a giudizio di molti, ricadute al livello più basso dopo la collisione di dieci anni fa fra un caccia cinese e un aereo spia americano.
Tutto quello che non ci voleva per Obama. Il vertice odierno doveva avere l'agenda più ampia, tirare delle somme pluridecennali per il passato e per il futuro e invece probabilmente si consumerà in uno scambio di diffidenze. Già il suo debutto nei vertici con la Cina fu "oscurato" da una accoglienza tutt'altro che cordiale, a tratti offensiva. E anche il "vertice ecologico" di Copenaghen ebbe episodi sgradevoli o penosi. Ora il "gesto di scortesia" mette in crisi il "mondo armonico" promesso un tempo da Hu Jintao e i "falchi" ripropongono una "linea" più dura. A cercare di placare la tempesta è intervenuto in prima persona Henry Kissinger. Ha cercato di spiegare agli uni i problemi degli altri e dunque di disegnare un quadro generale e approfondito per gli "spettatori", vale a dire per l'intero pianeta. In America c'è chi si preoccupa soprattutto delle conseguenze militari della crescita economica globale della Cina, i cinesi vedono in questo una strategia globale Usa per cercar di rallentare tale crescita.
Preoccupazioni comprensibili. Gli equilibri del mondo stanno cambiando ed è in fasi come questa che possono insorgere contrasti, diffidenze, tensioni di cui la Storia fornisce esempi numerosi e calzanti. Il paragone più ovvio è quello con la Guerra Fredda tra Usa e Urss, che ha dominato la seconda metà del ventesimo secolo e che potrebbe ripetersi, molti temono, mettendo Pechino al posto di Mosca. Il parallelo, anche secondo Kissinger, è però improprio: la Cina ha qualcosa di più e qualcosa di meno rispetto alla defunta Unione Sovietica. Ha un'economia molto più solida e dinamica ma le manca una dimensione ideologica. Pechino vuole esportare merci, non un modello di società alternativa alla nostra come è stato il Comunismo. La Cina è più solida ma, presumibilmente, meno ambiziosa. Evidentemente i suoi leader colgono l'occasione per rafforzarsi anche militarmente, per recuperare il predominio nell'Asia Orientale di cui ha goduto per gran parte della sua storia millenaria, con l'eccezione degli ultimi due secoli di prostrazione ed impotenza su cui purtroppo si è formata l'immagine occidentale della Cina, che provò l'umiliazione di un trattamento semicoloniale per tutto il diciannovesimo secolo, dalla "Guerra dell'Oppio" ai bersaglieri a Pechino. Il boom degli ultimi quarant'anni rappresenta agli occhi dei cinesi semplicemente il coronamento di una convalescenza e il ritorno alla normalità.
Una visione multisecolare difficile da far coincidere con il pragmatismo americano a tempi brevi. Gli Usa vorrebbero risolvere i problemi al più presto, meglio se uno per volta; i cinesi sono abituati a lasciarli durare e, se possibile, "compensarli" l'uno con l'altro. Per gli americani i negoziati sono percorsi con una meta precisa; per i cinesi sono lo stato naturale permanente. Gli americani sono portatori di principii e di valori universali, i cinesi mettono al primo posto l'"indipendenza" e il "rispetto" del resto del mondo. Sono differenze importanti, destinate a durare. Ma non a giustificare una Guerra Fredda fra Washington e Pechino. Barack Obama e Hu Jintao hanno in queste ore il compito di convincersene l'un l'altro.

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